La nostra gioia è in Dio

4 Domenica tempo ordinario Anno A

Sof 2,3; 3, 12-13; Sal 145; 1 Cor 1, 26-31; Mt 5,1-12a

La liturgia ci ripresenta la grande pagina delle Beatitudini: la vogliamo ricomprendere per diventare più discepoli di un tale Maestro.

Queste parole prima di tutto vanno collocate nella situazione storica, nel momento della vita di Gesù a cui si riferiscono. Matteo inizia con questa pagina i tre capitoli del suo Vangelo, il quinto, il sesto e il settimo, chiamati «Il discorso della montagna»; essi co­stituiscono quella che potrebbe dirsi la divina Costituzione: come deve vivere il popolo di Dio, l’insieme di norme che reggono il suo ordinamento morale. Gesù non ha predicato i Comandamen­ti, li ha semplicemente presupposti, ma ci ha indicato questa nuo­vissima maniera di vivere, che soltanto grazie a Lui diventava rea­lizzabile, e che era la rivelazione della possibilità di un mondo rinnovato.

Le parole, che precedono questo discorso: «Gesù andava attorno per tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, predicando la buo­na novella del regno e curando ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo», ci dicono che Gesù sta attraversando un momento straor­dinariamente favorevole del suo ministero cominciato da poco. Egli attira a sé gente sempre più numerosa, diventa veramente l’uomo più famoso, ma la sua fama non è ancora legata alla sua dottrina, bensì ai suoi meravigliosi prodigi: “ .. .la sua fama si sparse per tutta la Siria e così condussero a lui tutti i malati”.

Matteo moltiplica i termini per dire che erano proprio le perso­ne sofferenti ad accorrere da Gesù: «i malati, tormentati da varie ma­lattie e dolori, indemoniati, epilettici e paralitici»; questo mondo di sof­ferenza si raccoglieva attorno a Gesù, ed Egli semplicemente li guariva. Perciò grandi folle cominciarono a seguirlo, e Matteo ci dà un’ulteriore informazione indicando le regioni di provenienza: Ga­lilea, Decàpoli, Gerusalemme, Giudea e i territori oltre il Giordano. Non si tratta tanto di una descrizione geografica, quanto, secondo l’intendimento dei suoi primi ascoltatori, della descrizione della Palestina felice, della terra promessa da Dio, quella «dove scorre lat­te e miele»: è quindi anche un’indicazione mistica e spirituale.

Gesù si trova di fronte a questa immensa folla che cresce e che è senza dubbio entusiasta di Lui. «Vedendo le folle, ecco l’altra reazione di Gesù dopo averle guarite -Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, … prendendo allora la parola, li ammaestrava». Anche questa è una formula molto solenne, perché per gli Ebrei la mon­tagna non era solo luogo fisico, ma il monte di Mosè, il luogo del­l’alleanza, il Sinai. Gesù quindi è presentato da Matteo come il nuovo Mosè, quello che definirà, una volta per tutte, la comunio­ne tra Dio e il suo popolo.

La montagna non è una specie di pulpito più alto, ma il luogo da cui Dio parla perché la sua sapienza si effonda su tutti quelli che ascoltano. E anche tra loro Matteo stabilisce una distinzione: « …gli si avvicinarono i suoi discepoli», mentre attorno c’era la marea della gente.

Quanti di questa folla diventeranno discepoli? Non si sa, certo non tutti. A queste persone entusiaste di Lui Gesù propone il con­fronto non più con la sua capacità di guarire -l’hanno accettata pienamente -, ma con la sua capacità di salvare evangelizzando. Egli vuole che si confrontino con la sua dottrina, con la sua inter­pretazione autentica della vita umana. È un grande momento, un fondamentale salto di qualità! Se infatti Gesù avesse cominciato il suo discorso dicendo: «Beati … » e avesse continuato domandando:

«Chi sono i beati?», non c’è dubbio che tutti coloro che erano gua­riti e felici avrebbero risposto: «Noi!». A questa gente felice, già guarita o che si aspettava di diventarlo, Gesù propone dunque il discorso giusto, ma con un colpo d’ala che cambia tutto: «Vi ho re­si felici ma, se v’interrogassi sulle ragioni della vostra felicità, mi rispondereste soltanto che siete felici perché vi ho guariti. Invece vi devo dire altre cose sulla felicità».

Oggi la scienza comparata delle religioni ci consente di sfo­gliare tutti i testi delle letterature religiose del mondo di ogni epo­ca. Ebbene, non esiste una pagina comparabile a questa, dove, po­nendo Dio al centro -perché è Dio al centro di questo discorso -si affronta il tema della nostra gioia, ma in una maniera del tutto im­prevedibile, che metterà alla prova la fede di chi ascolta. E anche a noi oggi è chiesto di confrontarci con questa pagina. Non è det­to che l’abbiamo già accettata tutta, non teoricamente certo, ma nel vissuto di ogni giorno.

Il Signore ha dunque reso contenti i suoi ascoltatori e, appena compiuto quest’ opera, «sposta» la gioia da ciò che l’ha causata, cioè le guarigioni, a Colui che le guarigioni ha compiute: «Non sarete mai felici se non metterete praticamente al centro della vita Dio, e solo Lui». E poteva permettersi di fare questa affer­mazione, perché li aveva resi felici, quindi era del tutto credibile. Ciò non toglie che il salto sia notevole. Il discorso è tutto centrato su Dio. Egli è nominato spesso in queste Beatitudini e in tutte le pagine che seguono, qualche volta in modo esplicito: «i puri di cuo­re … vedranno Dio» oppure «gli operatori di pace … saranno chiamati

figli di Dio» o ancora, con un’ espressione equivalente, « … di essi è il regno dei cieli», cioè Dio, la sua presenza, la sua gioia.

Tu, cristiano, ti stupisci perché non sei felice, ma quanta impor­tanza hai dato a questo discorso che ti diceva che la tua gioia è in Dio? L’hai invece cercata nell’oggetto che ti piaceva, nel primo in­namoramento, nella tua vita anche ben organizzata, nel lavoro, nel matrimonio, nella famiglia … Avevi ragione a cercarla, ma ti sba­gliavi a farlo ovunque: avresti dovuto subito cominciare da Dio.

E Lui, che ti vuole bene ed è paziente, ti ha guardato cammi­nare, sbagliare, soffrire e, a poco a poco, ti ha condotto ad accor­gertene e a dire finalmente: «Ora so che Tu, Signore, sei la mia gioia, e ne sono convinto non solo perché ho riflettuto, ma perché lo sento nel cuore. La mia gioia la trovo quando sto con Te, quan­do t’incontro nel silenzio della mia preghiera, quando rileggo una pagina di Vangelo, quando incontro gli altri nella carità che Tu hai insegnato. Ora so, Signore, che avevi ragione».

Quel giorno Gesù aveva già ragione evidentemente, ma lan­ciava un messaggio che doveva fare una lunga strada nel cuore delle generazioni, e ora è offerto a noi: «Vi ho guariti, sÌ, ma non fermatevi a questo, non ingannatevi. La gioia che vi ho data non è la gioia: fate un passo oltre, guardate Dio». E a questo punto c’è un’altra sorpresa: per Gesù la gioia non è soltanto un sentimen­to felice di qualche attimo, ma è una maniera di vivere. Non sol­tanto Egli ci dice che la gioia viene da Dio, ma ci indica anche la strada per raggiungerla.

Le Beatitudini hanno sempre meravigliato tutti, perché sono cosÌ lontane dal comune pensare e cosÌ misteriosamente attraenti, e dunque ci intimidiscono, eppure ancora di più ci attirano in tut­te le loro maniere di presentare la stessa strada: i poveri, gli afflit­ti, i miti, gli affamati di giustizia di Dio sono persone in cui ci ri­conosciamo, e siamo convinti che è il modo giusto per arrivare a Dio, non quello della facilità e di tutto ciò che essa, fin che può, ci procura.

«Il discorso della montagna» non è molto lungo: sono tre capi­toli che vi consiglio di continuare a leggere, mese per mese, ripren­dendo sempre da capo. Non importa che li sappiate a memoria, sa­ranno sempre per il vostro cuore un nutrimento stupendo. Impa­rerete il Vangelo una volta di più e, mentre lo leggerete, lo Spirito vi suggerirà la situazione nuova dove non l’avevate ancora applicato, e invece lo farete. Il Vangelo s’impara cosÌ. Queste sono le pagine che dovremmo insegnare ai piccoli in famiglia; nella nostra infan­zia in genere non ce le hanno fatte conoscere; impariamole bene al­meno da adulti, come se fossimo noi stessi dei piccoli.

La verità profondissima, che Gesù, nuovo e definitivo Mosè, ci annuncia -Dio al centro, la nostra gioia possibile attraverso queste strade -, presume, però, da parte nostra un particolare at­teggiamento. La pagina di Paolo è molto forte nell’indicarcelo: bi­sogna che noi non andiamo da Gesù come se fossimo già dei sa­pienti, persone che sanno tutto e vanno a vedere che cosa dice questo Maestro di Nazaret, per giudicare della sua dottrina. È tra il folle ed il ridicolo questa posizione, anche se è piuttosto diffusa perché siamo in genere arroganti e presuntuosi.

Paolo ci dice che «Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto» e ci esorta a essere umili di fronte a Lui: «Signore, davanti a Te io non so niente, però Tu ci sei e mi illumini. Non solo non capisco nien­te, ma sono capace anche di ragionare in modo sbagliato: mi co­struisco le mie teorie sulla vita, do i miei giudizi, e non so niente. Vengo da Te, Signore, come un povero ignorante: mi istruisci?». Il discepolo comincia da questa profonda umiltà.

Allora la mia povera sapienza è confusa: ero anch’io un inso­lente, un arrivista … , e Lui mi dice: «Beato te, se sarai mite e pove­ro». Tutta la mia presunzione se ne va in un attimo: «Signore del­la Vita, sono vissuto tanti anni senza capire niente. Che grazia averti incontrato! Adesso comincio a vedere, a comprendere qual­che cosa. Non mi spaventa più la mia debolezza, non invidio i for­ti che premono un pulsante e fanno muovere diecimila persone, non desidero affatto essere come loro. Sono debole, Signore, sono anche ignobile e disprezzato qualche volta dai sapienti, perché credo in Te. Ebbene, io scelgo di essere nulla perché Tu, nel mio nulla, “riduci a nulla” le cose che ritengono di valere».

È molto forte il contrasto prospettato da Paolo: «Tu sei un po­vero, un umiliato, ma con il tuo niente, con la tua preghiera, con la tua sofferenza bene offerta, con la tua testimonianza e il tuo esem­pio, Dio “confonderà” coloro che credono di essere qualche cosa».

Le Beatitudini, ben vissute, sono una grande medicina, di cui questo mondo ha molto bisogno, perché i «sapienti secondo la carne» sono numerosi, quelli che -dice Paolo nella Lettera ai Ro­mani -Dio abbandona alla loro intelligenza depravata. Spesso nel­la Bibbia si parla di un concetto che noi, anche noi predicatori, non ricordiamo volentieri: l’ira di Dio. È un Dio crocifisso, ma nel­l’Antico e nel Nuovo Testamento si parla anche dell’ ira di Dio, del suo sdegno, del suo amore deluso. Quando c’è l’ira di Dio, che co­sa capita? Non capitano i terremoti e i disastri, semplicemente Dio ci lascia fare. «Dio li ha abbandonati in balìa d’una intelligenza depra­vata»: perché? Perché hanno disprezzato la conoscenza di Lui: «A che cosa ci serve Dio? Ce la caviamo da soli».

La risposta di Dio non è una rivalsa: «Allora fate da soli!». Dio ci lascia semplicemente liberi e sa che, attraverso le nostre infeli­cità, ritroveremo la strada per tornare a Lui. Non ci abbandona a noi stessi, ci permette solo di provare che cosa, da soli, siamo ca­paci di fare. Vediamo anche sui giornali le conseguenze di questo comportamento in coloro che, secondo le parole di Paolo, sono

«colmi di ogni sorta di ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; pieni d’invidia, di omicidio, di rivalità, di frodi, di malignità; diffamato­ri, maldicenti, nemici di Dio, oltraggiosi, superbi, fanfaroni, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza cuore, senza miseri­cordia». Sembra eccessiva questa pagina, è invece realistica: ba­stano i mass-media per rendersene conto. Solo che, non avendo fe­de, non comprendiamo che questa è la condizione di gente ab­bandonata alla propria intelligenza depravata.

Allora ecco la medicina del mondo, ecco i piccoli, i poveri che, credendo nel Vangelo, dicono: «Noi, invece, scegliamo l’altra ma­niera di vivere, la tua, Signore. Riprendiamo “il discorso della montagna”, ci confrontiamo con le tue parole, e andiamo avanti». Dovete credere che siete la medicina del mondo, non siate mai rassegnati, sopraffatti dal male. Che errore! Gesù ha vinto la mor­te. Siate invece profondamente evangelici: queste pagine così con­crete le potete vivere a casa vostra, in famiglia, al lavoro, nelle si­tuazioni più importanti, dovunque voi siate. Le Beatitudini si adattano sempre a tutto e a tutti.

Questa è la medicina che silenziosamente risana. Ecco che cosa vuol dire uscire di chiesa più discepoli, più animati, più entusiasti di questo Gesù, come a dirgli: «Lo faremo, Signore: fidati di noi!».

Don Pollano