La condanna a morte per blasfemia della contadina cristiana del Punjab riporta alla ribalta la precarietà delle minoranze religiose in Pakistan. Vittime di discriminazioni e violenze.
I politici della prim’ora speravano che il Pakistan rimanesse a lungo un Paese tollerante, come loro l’avevano plasmato, a maggioranza musulmana, sì, certo, ma capace di garantire pari dignità anche a chi non aderisce ai principi dell’islam. L’11 agosto 1947, nel suo discorso davanti alla prima Assemblea costituente, Ali Jinnah, il principale tra i padri fondatori, affermò: «Voi siete liberi; siete liberi di frequentare i vostri templi, siete liberi di andare nelle vostre moschee o in qualsiasi altro luogo di culto dello Stato del Pakistan. Voi potete appartenere a qualsiasi religione, casta o credo, questo non ha nulla a che vedere con gli affari dello Stato… Vogliamo partire da questo principio fondamentale: che siamo tutti cittadini e cittadini con pari diritti».
Con il passar del tempo, però, la “terra dei puri” (questo significa in urdu la parola Pakistan) ha invece imboccato una via diversa. In special modo negli anni ’70 e ’80 ha incoraggiato le frange più radicali dell’islam politico. Storicamente, i passi più importanti verso l’islamizzazione del Paese sono stati presi dal presidente Zia-ul Haq (in carica dal 1977 al 1988), il quale ha introdotto una serie di leggi, tra cui quella contro la blasfemia entrata in vigore nel 1986. Più del dilagante terrorismo legato ai talebani, i cristiani si sentono minacciati da queste norme.
«La situazione è peggiorata», ammette monsignor Anthony Rufin, vescovo di Islamabad e Rawalpindi, alla guida di una diocesi grande quanto metà Italia, in cui vive una comunità di 180 mila cattolici che fanno capo a 19 parrocchie e mandano avanti 82 istituti scolastici e formativi di vario grado nonché 28 centri caritativi o di impegno sociale. Da un anno, monsignor Rufin è inoltre il segretario della Conferenza episcopale pakistana. «La recrudescenza della violenza estremista spaventa, anche se non penso che il Pakistan diventerà per i cristiani un nuovo Irak», afferma monsignor Rufin. «I terroristi colpiscono moschee, caserme e commissariati. Il vero problema, per noi, esigua minoranza (i cristiani, cattolici e protestanti, sono in tutto 2,8 milioni su una popolazione di 171 milioni di abitanti, ndr.) è piuttosto rappresentato dalla legge sulla blasfemia in vigore dal 1986 e dal suo uso distorto: specialmente nelle campagne c’è chi ne approfitta per saldare conti personali».
Asia Bibi e la sua storia rappresentano un esempio. L’ultimo, in ordine di tempo. Il più drammatico. Asia Bibi è una contadina di 45 anni, sposata con il cinquantunenne Ashiq Masih, ha cinque figli, tra cui Esha, 10 anni, disabile. È cristiana. Protestante. L’hanno accusata di aver parlato male di Maometto e tanto è bastato per farla condannare a morte. Il 7 novembre scorso, un tribunale del distretto di Nankana, nella regione pachistana del Punjab, circa 75 chilometri a ovest di Lahore, ha emesso la dura sentenza, da eseguirsi tramite impiccagione.
I fatti risalgono al giugno 2009. Fa caldo. Alla donna, che lavora in un’azienda agricola, viene chiesto di portare dell’acqua alle sue colleghe. Ma un gruppo di loro, musulmane, trova da ridire: Asia Bibi non prega Allah, non segue il Corano, lasci perdere perché è destinata a rendere impuri sia il recipiente che l’acqua. Ne nasce un vivace botta e risposta. Le donne musulmane cercano di convincere Asia ad abiurare il cristianesimo e a convertirsi all’Islam. Bibi tiene il punto, spiega che Gesù Cristo è morto sulla croce per redimere i peccati di tutta l’umanità e chiede: «Cos’ha fatto per voi Maometto?».
Alcuni giorni dopo le donne islamiche vanno dall’imam locale, la cui moglie fa parte del gruppo, accusando Asia Bibi di aver offeso il profeta Maometto; l’imam si reca dalla polizia che apre un’inchiesta. Asia Bibi è arrestata nel villaggio di Ittanwalai, accusata di aver violato la legge 295c (quella, appunto, sulla blasfemia), che non prevede – per chi accusa – l’onere di provare ciò che dice e che contempla nei casi estremi la condanna a morte. La sentenza, emessa più di un anno dopo, è pronunciata dal giudice Naveed Iqbal che esclude «totalmente» la possibilità che Asia Bibi sia accusata ingiustamente e dice che «non esistono circostanze attenuanti» per lei.
Il 9 novembre la storia di Asia viene raccontata dal quotidiano inglese The Telegraph. In Italia, il caso è seguito dalle agenzie di stampa Fides e Asianews. L’11 novembre, a Islamabad, i giornalisti italiani al seguito del titolare della Farnesina, pongono domande specifiche sulla vicenda durante la conferenza stampa congiunta dei ministri degli Esteri Makhdoom Shah Mahmood Qureshi e Franco Frattini (che nel suo intervento , a dire il vero, s’è già espresso con fermezza contro la legge sulla blasfemia e sui suoi abusi). Poche ore dopo, sempre l’11 novembre, si torna a parlare di Asia Bibi al termine del colloquio tra il ministro Frattini e il ministro pachistano delle minoranze, Shahbaz Bhatti, cattolico dichiarato, che indica un primo, possibile appiglio: contro la sentenza è stato presentato un ricorso in appello, e c’è da credere che l’Alta Corte non confermi la condanna a morte, anzi.
Con il passare dei giorni la mobilitazione cresce, e diventa capillare. In Pakistan, gruppi in difesa delle minoranze e attivisti per i diritti umani si muovono per chiedere la cancellazione della legge sulla blasfemia perché essa è sfruttata per consumare vendette private o come vile scorciatoia per espropriare beni dei cristiani, incoraggiando in ogni caso l’estremismo islamico. Ali Dayan Hasan, della sezione pachistana di Human Rights Watch afferma senza mezzi termini ad Asianews: «La legge sulla blasfemia è assolutamente oscena e va rifiutata in blocco. Essa è utilizzata soprattutto contro gruppi vulnerabili che soffrono discriminazioni politiche e sociali. In particolare essa è utilizzata contro le minoranze religiose e le sette eretiche musulmane».
Il 17 novembre interviene pubblicamente anche Benedetto XVI. «Esprimo la mia vicinanza ad Asia Bibi e i suoi familiari e chiedo che al più presto le sia restituita la libertà», dice il Papa al termine della consueta udienza generale del mercoledì. Nel suo appello, il Pontefice si rivolge alla «comunità internazionale per la difficile situazione in cui si trovano i cristiani in Pakistan, che sono spesso vittime di violenze e discriminazioni. Prego , infine, per quanti si trovano in situazioni analoghe, affinchè la loro dignità umana e i loro dirittifondamentali siano pienamente rispettati».
Il mondo non se ne sta con le mani in mano. In particolare ciò accade in India, negli Stati Uniti d’America e in Italia. Il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, fa mettere un enorme ritratto di Asia Bibi davanti al Campidoglio. L’agenzia Asianews promuove una raccolta internazionale di firme da inviare al presidente pakistano Asif Zardari perché salvi la vita di Asia Bibi. Asianews chiede anche che il presidente Zardari cancelli o cambi l’iniqua legge sulla blasfemia, che s’accanisce contro tante vittime innocenti e mina la serena la convivenza nel Paese. Per sostenere queste richieste, si puòi inviare un messaggio a un apposito indirizzo e-mail: salviamoasiabibi@asianews.it. E’ altresì possibile inviare direttamente i messaggi all’indirizzo del presidente pakistano (publicmail@president.gov.pk). Questa campagna si affianca a diverse altre avviate in Italia (da Tv2000 e dalla Comunità di Sant’Egidio), in Pakistan, in India, negli Stati Uniti d’America.
In pochi giorni, rende noto il 23 novembre Fides, gli uffici del Governo pakistano sono inondati da circa 40.000 e-mail provenienti da diverse parti del pianeta, che chiedono la liberazione della donna. La Chiesa pakistana e le comunità cristiane a livello internazionale rilanciano dal canto loro la petizione per l’abolizione della legge sulla blasfemia, diffusa un anno fa. L’iniziativa raccoglie, tra l’altro, l’appoggio dell’organismo cattolico “Aiuto alla Chiesa che Soffre”. In Pakistan, il caso di Asia Bibi continua a far dibattere la gente, le tv, i giornali (val la pena leggere gli articoli riportati sui quotidiani in lingua inglese The Dawn e The express) nonché la classe politica. La Chiesa cattolica, la “Commissione Nazionale per i Diritti Umani” e altri gruppi della società civile, anche musulmani, contestano apertamente la legge sulla blasfemia e ne chiedono l’abolizione. Domandano al Governo di aprire un tavolo ufficiale in Parlamento per riesaminarla.
Il ministro federale per le minoranze religiose, Shahbaz Batti, ne promuove la “revisione”. La Conferenza degli “Jamiat Ulema del Pakistan” (JUP), in rappresentanza di oltre 30 partiti religiosi, la ritiene invece “intoccabile” e minaccia dure proteste in caso contrario. Il 23 novembre, infine, si apprende che il presidente del Pakistan, Asif Ali Zardari, avrebbe deciso di concedere la grazia ad Asia Bibi, se l’Alta Corte non cancellerà la sentenza di morte contro di lei e non la rilascerà. Le fonti giornalistiche citano il governatore del Punjab, Taseer. «Ciò che sostanzialmente ha fatto capire il Presidente», dice Taseer, è che Asia Bibi «non sarà vittima di questa legge». Zardari «è un presidente liberale e moderno, e non starà aguardare l’esecuzione di una povera donna».
Stando ad AsiaNews che pubblica i dati raccolti dalla Commissione nazionale di Giustizia e pace, un organismo della Chiesa cattolica pakistana (Ncjp), dal 1986 all’agosto del 2009 almeno 964 persone sono state incriminate in base alla legge. Di questi, 479 erano musulmani, 119 cristiani, 340 ahmadi, 14 indù e 10 di religione sconosciuta. Asia Bibi, insomma, non è purtroppo la sola. In particolare, secondo l’agenzia di stampa Fides, che cita anch’essa la Commissione nazionale di Giustizia e pace, sono 15 le donne cristiane, le madri di famiglia che, proprio come Asia Bibi, tra il 1987 e il 2010 sono state accusate di blasfemia e imprigionate. Per alcune di loro il processo si è concluso con l’assoluzione, per altre con la condanna. Alcune sono in attesa di verdetto, altre sono costrette a vivere nascoste, per le minacce degli estremisti. Il numero pare essere in difetto giacché potrebbero essere numerosi i casi che sfuggono al conteggio, in quanto non finiscono con una denuncia ufficiale.
25/11/2010 © FamigliaCristiana