SS. CORPO E SANGUE DI CRISTO
Gen 14, 18-20; Sal 109; 1 Cor 11, 23-26; Lc 9,11b-17
“Fate questo in memoria di me”
Chi è il nostro Dio, chi è questo Gesù che preghiamo e che amiamo di giorno in giorno sempre di più? È l’Uomo che quel giorno fece il grande segno: il Signore che ha dato del pane alla gente che aveva fame. Esiste forse un gesto più umano?
Ecco chi è Dio: Colui che crea l’uomo e gli mette in cuore molti desideri, ma sopra tutti il desiderio di Lui stesso, Dio, e lo crea così perché si prepara a saziarlo per sempre.
Oh, se avessimo di Dio un’idea così chiara e affascinante! Se non lo sentissimo troppo alto, troppo immobile, impassibile, un Dio che guarda senza intervenire nel mondo. Non è così, ma molte idee della nostra cultura senza fede tendono ad allontanarlo ancor sempre dall’uomo, come se Egli non fosse il Dio che ama. Ed ecco, la storia di Gesù è invece quella di Dio che ha assunto forma umana, per immettere nelle nostre piccole misure la totalità del suo amore.
“Dategli voi stessi da mangiare”: quando celebriamo l’Eucaristia è perché ci troviamo davanti non a questa scena evangelica, che fu soltanto un annuncio, ma al compimento di essa; e la celebriamo con la fede che ci consente di coglierne la grandezza, di sciogliere il cuore nella gratitudine, e di conseguenza di rispondere a Gesù con tutto l’impegno della vita.
Abbiamo risentito nella seconda Lettura la narrazione che Paolo ci ha fatto di quella beata, ultima cena, quando Gesù prese il pane e il vino, e lo Spirito privò il pane e il vino della loro esistenza materiale, ed essi esistettero soltanto più come Corpo e Sangue di Cristo. Fu la prima volta. Abbiamo sentito la narrazione, e la gratitudine già potrebbe orientare la nostra riflessione di fede, ma molto più grande è la beatitudine, perché quella sera Gesù aggiunse le poche, prodigiose parole: “Fate questo in memoria di me”.
Se la narrazione evocasse soltanto il ricordo di un fatto lontano, ci aggrapperemmo all’immaginario per credere in Lui. Ma questa non è soltanto memoria, come fatto psichico, è qualcosa di infinitamente più grande: è ciò che la Chiesa chiama il memoriale, che significa, ‘rifare vero’, adesso, proprio come allora, questo straordinario momento. Infatti ora io ripeterò le parole, ma non più come narrazione: di nuovo verrà lo Spirito che avrò invocato, di nuovo priverà di esistenza materiale il pane e il vino, e farà essere soltanto il Corpo e il Sangue del Signore. Allora saremo di fronte a questo abbagliante prodigio. Non ci sarà luce fisica, ma luce nei cuori sì, splendore di gioia. Che la Messa sia quotidiana, sia così semplice, facile, non toglie nulla alla sua immensa grandezza, e già di questo dobbiamo rendere grazie.
“Fate questo in memoria di me”. E perché ancora, Signore?
E il Signore, richiamando la scena dei pani moltiplicati, potrebbe dirci: “Perché il pane che moltiplicai quella volta non vi basterebbe per vivere e non vi basterebbe per morire. Se fosse sufficiente il pane, avrei riempito di esso le vostre case, ma non è sufficiente. Né vi basta che siano saziati tutti i vostri desideri, per quanto buoni essi siano”. La verità, la gioia, gli affetti, una giusta riuscita nella vita, le cose come devono essere: tutti questi sono santi desideri, ma quando avessimo tutto questo e non avessimo Dio, non avremmo ancora avuto nulla.
Così, da quei pani moltiplicati Gesù è arrivato all’ultima, definitiva mensa, conservando il pane e il vino come segno di quel donarsi di sé; il mio corpo vuol dire “io”, il mio sangue vuol dire “la mia vita”: la comunione perfetta che fin da principio aveva programmata per noi.
Ed è comunione l’Eucaristia: è Dio che ti ha creato per averti e perché tu lo avessi, Dio che ti è amico molto di più di quanto tu non pensi, è Dio che ti rivuole, che intende vivere la tua vita e che tu viva la sua. E quale tua vita? La vita quotidiana. Nella cultura ebraica, come in tante altre, pane e vino erano il segno della quotidianità dell’esistenza, non erano cibo di re o di sacerdoti, ma della gente comune. Sicché pane e vino – ecco il richiamo all’episodio di Abramo nell’Antico Testamento – significano fortemente il vissuto di ogni giorno.
È la nostra quotidianità che Gesù vuole rendere divina, non sono i pochi momenti soltanto in cui andiamo da Lui e lo incontriamo. Se l’Eucaristia diventasse un gesto sacrale, nascosto, spiritualissimo, distante dalla vita di ogni giorno, ciò vorrebbe dire che non l’abbiamo capita. È quando lavoriamo, quando fatichiamo, quando facciamo le cose, quando muoviamo le mani per agire, è nel nostro essere noi stessi che Gesù vuole entrare per portarci con Sé nel suo Regno. Se avessimo sempre presente questo, che pur crediamo per fede, non finiremmo mai di desiderare questo cibo e questa bevanda.
E’ vero che potremmo sempre dirgli: “Signore, dici bene, ma non oso presentarti la mia vita quotidiana così com’è, non mi sento degno”. Ma Gesù ha la risposta anche per questo: “Tu vedi che ho preso pane e vino per farti capire che io voglio il tuo vissuto; ricorda però che questi non sono più pane e vino, ma sono Io, sacrificato per te. Il mio sangue ti ha lavato, il mio corpo ti rende puro. So che la tua vita quotidiana può diventare fango e miseria, so che sei peccatore, ma per questo sono venuto; e il mio cibo, quando tu vieni a me, perdonato ancor sempre da me, diventa la sorgente di una vita pura e santa, quella per cui sei stato creato. Vieni, dammi la tua vita quotidiana, so anch’io che tutti i giorni dovrà essere purificata, riscattata, sollevata: è la strada della santificazione; ma vieni poiché Io sono il tuo pane”.
Questo è il supremo dono. Quando tra poco avrò ripetuto in maniera efficace, sacerdotale, le parole del Vangelo, ed Egli sarà con noi, noi dovremo essere colmi della sua gioia, lasciare che i nostri cuori esultino. Bisogna almeno qualche volta esprimere a Gesù la nostra profonda allegrezza, perché Egli ha fatto tutto questo per noi che siamo meno che niente, eppure, così amati da Lui, diventiamo il suo tutto.
Questo Signore che viene in noi per dimorare in noi, che viene in noi per condurci al Padre, per accompagnarci oltre la morte a sconfinare nell’eterna gioia, questo Signore, assumendo la nostra misura, ci dice: “Dammi la tua voce, altrimenti non potrò dire parole belle e giuste, dammi i tuoi gesti, dammi il tuo cuore, la tua libertà, la tua capacità d’agire, la tua intraprendenza, il tuo coraggio, la tua presenza nel mondo,… di te ho bisogno”.
Noi siamo il corpo di Cristo. La Bibbia è chiara con il cristiano, e gli assicura: se tu ricevi il Corpo di Cristo, diventi Corpo di Cristo, così che, dovunque tu sia, porti Lui, mentre sei portato da Lui.
Sono certo che nella misura in cui siete ‘eucaristici’, molta gente si è accorta che portate in voi quel qualcuno, che è Lui: da come siete, da come agite, da come decidete. E poiché Egli ha detto: “Io sono la luce”, ecco anche voi, umilmente, siete luce nei luoghi dove vivete accanto a molti altri.
Riconsegnatevi dunque oggi più che mai a Gesù Eucaristia, riandate al giorno della vostra prima Comunione – quando eravate piccoli, semplici, ma il cuore era già capace di ricevere il Signore -, rivivete quel giorno, pur nel carico delle vostre esperienze, delle vostre consapevolezze, delle vostre crescite nel bene, ma anche dei vostri dolori, dei vostri sbagli; rivivetelo: rifate alleanza eucaristica.
Riandate in questo momento al tempo in cui Maria, dopo che Gesù tornò al Padre, visse ancora su questa terra. Ricordate che Gesù l’affidò a Giovanni ed egli la prese nella sua casa. Non c’è dubbio che l’apostolo celebrasse l’Eucaristia, la frazione del pane: potete credere che Maria non fosse tra coloro che si nutrivano del Corpo del Signore? Provate a pensare alle comunioni di Maria, che, avendo dato al mondo il Salvatore, lo riceveva insieme ai suoi discepoli.
Entriamo in questo misterioso cerchio di grazia, che è pur tanto semplice e familiare. Sollevate i cuori, date a Gesù la gioia di uscire di qui ancor più motivati ad essere cristiani: “Signore, ti ricevo, perché altri sappiano”. Ecco l’umile, grande missione che la Chiesa vi affida e che lo Spirito si prepara a compiere in voi nella misura della vostra buona volontà.