Lasciamo che la Parola di Dio bussi oggi alla nostra coscienza, ci interpelli, ci faccia una richiesta semplice, ma tanto grande: essere anche noi, proprio perché cristiani, uomini e donne che sanno «dire» Gesù, non soltanto mentre si prega, ma quando si vive.
Occorre cancellare la singolare distinzione, che siamo capaci di fare, tra l’essere cristiani e l’essere apostoli. Dobbiamo confessare che questi due concetti, nella nostra mentalità, non coincidono perfettamente: è come se ci fosse una divisione del lavoro tra chi crede e chi predica, mentre non è così.
Queste pagine della Scrittura così ricche di movimento, di moti del cuore, quindi di entusiasmo verso Gesù, ci danno a questo proposito una lezione. Esse ci trasmettono anche la domanda di Dio, che ha suscitato la profezia della chiamata di Isaia: «Chi manderò?». Allora noi dovremmo essere in grado di rispondere: «Manda me, Signore». A che fare? A dare testimonianza di Dio, in Gesù Cristo.
Non c’è differenza tra l’essere cristiani, cioè appartenere a Gesù Cristo, ed essere apostoli, cioè annunziare Gesù Cristo.
Infatti, essere di Gesù Cristo significa che Egli ha preso possesso del nostro cuore. È quello che Paolo esprime quando dichiara: «Gesù Cristo mi ha conquistato».
Non si tratta di conquista umana, emotiva, impulsiva, ma della conquista profonda della nostra intelligenza, che guarda il Signore e si convince totalmente di Lui: come Gesù non c’è nessuno e di Gesù hanno bisogno tutti. Non è convinzione che proviene dalla lettura di un libro – anche se tutto questo sta scritto nei libri -, ma intuizione suscitata dalla ricchezza dello Spirito: “Ti guardo, Signore, e mi convinco che Tu sei l’Unico, e sei il Salvatore”.
Di conseguenza, il nostro spirito, sempre per effetto dello Spirito di Dio, sente in sé un fremito, un desiderio di andare verso il Signore, una specie di profondo, si potrebbe dire quieto, ma irresistibile, entusiasmo per Lui. Il discepolo è questo. «Lasciarono tutto e lo seguirono»: non risposero a un comando dell’autorità – Gesù era uno come loro -; avrebbero benissimo potuto, come tanti altri, non accogliere la sua proposta, invece furono attratti da Lui e conquistati.
Un cristiano «di Gesù Cristo» è dunque uno che sente il primato affascinante del Signore. Quando questo accade, è difficile, quasi impossibile, non parlare di Colui che ci ha preso la mente e ci ha convinti nel cuore. Se qualcuno diventa il «tesoro» nostro cuore, come Gesù ha detto, lo teniamo tutto per noi, eppure anche lo riveliamo.
È ben vero che nella Chiesa esistono ministeri diversi e c’è chi è chiamato a spendere l’intera vita in una sorta di professione dell’annuncio” per così dire; ma ciò non esime affatto i battezzati dal «dire» quel Gesù, al quale appartengono e di cui sono convinti.
C’è un solo Gesù Cristo, un solo Salvatore, e ne hanno tutti indicibile bisogno. I nostri ragazzi, che affollano le discoteche , hanno un disperato bisogno di Lui. Cresciuti, forse là non andranno più, ma, come molti adulti oggi avranno dentro il clima del vuoto. E noi siamo, nella nostra pochezza, la medicina di questa disperazione, perché possiamo testimoniare Gesù, purchè lo vogliamo.
L’episodio narrato nel Vangelo è molto significativo in proposito nel suo valore simbolico. «Abbiamo faticato tutta la notte e abbiamo preso nulla»: affermazione di uomini concreti, pescatori che sanno il loro mestiere, ma nello stesso tempo parola esistenziale, perché la notte e il nulla sono diventati termini delle nostre filosofie, quelle che ci dicono di convivere col nulla, deboli e rassegnati.
La risposta di Simon Pietro è, dunque, realistica e metaforica. Tu fatichi e fatichi, ed è notte, non vedi il sole, le sponde, la bellezza del paesaggio, sei nel buio e nella stanchezza. Almeno alla fine tirassi fuori un tesoro che ti ripaga! Invece viene il mattino, viene la luce, e tu devi dire: «Nulla». Se questo non è disperante! E questa non è più la notte del pescatore: è la vita dell’uomo.
Com’è consolante invece questo Vangelo! Non sei nella notte, non stai faticando per niente come tante volte senti nel cuore, perché sulla parola di Gesù la vita riacquista un profondissimo senso. La Parola diventa stupendamente salvatrice.
Benedetto Gesù anche per questo! È venuto proprio lì dove noi dovevamo riconoscere: «Ho faticato nel buio per niente». E venuto a sollevarci all’ultimo momento dicendoci: «No, tutto ha senso sulla mia parola. Sono venuto apposta a dirtela, so che non sei felice. Sono venuto a rivelarti che non è questa la tua condizione, che la vita è diversa».
Ecco perché si deve «dire» Gesù. Non si tratta di andare a offrire formule sia pure giuste, o a fare discorsi, sia pure adeguati, ma di entrare nel dramma della vita degli altri, dove la fatica, il nulla, la notte ci sono. E se, per grazia di Dio, qualcuno vi ha raccontato il buio che ha nel cuore, poiché siete buoni, ispirate confidenza e sapete ascoltare, allora è il momento di dire «Sai, c’è ancora Uno che può far luce, l’unico, ma c’è». Si dice Gesù.
La vita oggi è talmente piena di infelici, che non c’è che l’imbarazzo della scelta. Nessuno può affermare che non ne vede, sarebbe una bugia. Occorre solo leggere in modo giusto parole che sembrano un discorso ordinario, ma nel tono, nel modo, in ciò che non dicono, svelano l’angoscia che c’è dentro.
Sappiate capire, l’amore fa comprendere tutto! Allora testimonierete Gesù.
Paolo, nella sua breve «autobiografia», esprime tutto ciò con poche parole: «lo annuncio ciò che mi è stato annunciato». Tre affermazioni concise: «Cristo, che è Dio, è morto per i peccati, è risorto ed è vivo». Sono l’annuncio che Lui vuole fare giungere a tutti con serietà immensa. Se Dio infatti, di fronte al peccato, va su una croce, vuoI dire che – qualsiasi opinione circoli tra la gente il peccato rimane la sventura suprema. Quell’ucciso è proprio Dio ucciso, solo dopo risorge, e regna vivo.
Com’è grande il cristianesimo, com’è meraviglioso! Come scuote le nostre piccole mentalità, i nostri piccoli aggiustamenti; davanti a un Dio ucciso e risorto! Questo lo sappiamo, non ci vogliono anni di studio per capirlo, ci vuole la fede nella Parola. Quando abbiamo questa convinzione e sperimentiamo la pace di un Dio che, essendo risorto, cammina con noi, siamo in grado di fare ciò che Lui ci chiede: percepiamo il nulla, la fatica di chi ci è vicino e sappiamo tendere la mano. Non c’è azione più grande. È il gesto del Padre che ci porge la mano in Gesù Cristo. «È la mano tesa ai peccatori» diciamo in un testo della Liturgia.
Siate anche voi questa mano che si tende, non chiudetevi mai né nei vostri problemi, né nei vostri pensieri, così che non creino su di voi una specie di cupola impenetrabile, che non vi lascia vedere più nulla. Apritevi, accorgetevi degli altri, soprattutto delle loro difficoltà e delle loro sofferenze. Fatelo, questo è Vangelo, è così che si annuncia Gesù. È soprattutto così, con la carica del cuore, con la propria capacità di essere buoni. Lasciate che il vostro cuore sussurri al Signore: «Andremo noi, oggi, e domani e dopodomani. Continueremo ad andare». Questa è la medicina del mondo.
Fatelo con Maria, datele questa consolazione. E preghiamo per tutti coloro che potrebbero dire sui loro 50, 60, 70 anni, ma anche sui loro 15,20 anni: «Ho faticato tutta la notte e non ho preso niente». Per tutta questa folla anonima, che forse non apre neppure più bocca, noi adesso ci prepariamo ad andare, a portare la consolazione del Signore.