Teresa e la Chiesa. Ci vorrebbe un volume. Pare che non ne abbia parlato molto. Ha vissuto la sua vita cristiana. Nel viaggio a Roma ha visto anche i limiti dei preti e dell’istituzione storica. È arrivata a stringere le ginocchia del vecchio Leone XIII. Non ha mai avuto un vero direttore spirituale, e si è scelta il “direttore dei direttori”, Gesù. Da morta, poi, ha conquistato Papi, vescovi, preti, fedeli… E invece c’è ben altro. Nel Man. B racconta di aver «trovato il suo posto nella Chiesa» e, «finalmente», «scoperto la sua vocazione».

Eccone l’essenza schematica. Nel “Corpo Mistico della Chiesa” – lei lo chiamava già così – come «carmelitana, sposa di Cristo e madre delle anime», sapeva di essere «nel cuore», tra quelli cioè il cui «mestiere» è amare. Ma non le bastava: voleva essere «anche» e «insieme», Apostolo, Dottore, Martire, Profeta… Voleva essere «tutto», era «tormentata da desideri infiniti». Il cap. 13 della prima lettera ai Corinzi le dà una “chiave”: la cosa più importante è l’amore. Ma proprio lì Paolo dice il contrario di quello che lei vuole: ciascuno stia al suo posto, non tutti possono essere tutto. Ma lei va oltre, e fa la sua scoperta, tutta sua.

A settembre 1896, da più di un anno, dall’”Atto di offerta come vittima all’Amore misericordioso”, lei sa di essere, per grazia di Dio stesso, realmente, «una cosa sola» con lo Spirito Santo che «arde nel cuore della Chiesa» e che dà vita a tutto, anzi, che «è tutto». Ha trovato! La sua «follia» è realizzata, il suo «sogno» è realtà: «Ho trovato il mio posto nella Chiesa, e questo posto sei tu, o Dio, che me l’hai dato. Nel cuore della Chiesa, mia madre, io sarò l’Amore, e così sarò tutto!». Il Mistero di Dio e della Chiesa intrecciato in una sola realtà. È questa l’ecclesiologia di Teresa.