O Dio che illumini con la luce dello Spirito Santo la mente dei tuoi fedeli concedi anche a noi nella stessa luce di conoscere la verità e di esserne consolati
Abbiamo chiesto la consolazione dello Spirito perché ci troviamo dinanzi ad un grandissimo dono del Signore. Destinato proprio a consolarci. Ed è bene che chi vuol essere oggi un cristiano consapevole sappia apprezzare grandemente, il che vuol vivere questo dono. Uno dei richiami che il Papa ci fa nella sua esortazione è proprio quella di tornare al sacramento della riconciliazione. E dico tornare perché qui si tratta di un punto critico della nostra vita di cattolici, all’inizio del terzo millennio, e si può dire che malgrado il Giubileo, il popolo di Dio non ha ricuperata la ricchezza della riconciliazione sacramentale. Siamo ancora nella deriva di una lunga crisi che si è sviluppata rapidamente, ossia nel giro di trenta o quarant’anni; si è dimostrata grave come se questo edificio dell’abitudine sacramentale avesse le fondamenta piuttosto deboli.
La confessione come sacramento ha resistito laddove c’era la vera convinzione; dove c’era un’ abitudine meno convinta si è rapidamente sbriciolata. Questa crisi non è ancora cessata. Siamo dunque tutti davanti al grande grido di Paolo “ vi supplichiamo nel nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio.” Questa cosa merita di essere compresa. Sembra che sia Paolo a supplicare. In realtà è Cristo che supplica con la bocca di Paolo. Lui è stato il Grande Riconciliatore. Egli dopo averci riconciliati con il suo sangue ci supplica di non sprecare questo sangue della riconciliazione o di non lasciare che si coaguli là, in mezzo alla strada.. e che continui ad essere, per altro indispensabile, il mezzo di riconciliazione. Supplicati da Cristo con molta umiltà lasciatevi riconciliare.
L’Onnipotente, qui, non ha certamente il tono del comando. Però ci esprime una nostra necessità, così grande, così drammatica perché è in gioco tutto. Una epoca del popolo di Dio nella quale sia forte la stima del sacramento della riconciliazione è a sua volta, un’epoca forte. Una civiltà abitata dal perdono di Dio è una civiltà che potrà avere i suoi mali, ma è sempre capace di risanarsi. Il che non è di quest’epoca. Quando non c’è più questo aiuto è molto rapido il disfacimento (una specie di AIDS spirituale) e tutto cede. Non c’è più alcuna possibilità di resistere al male. Non è cessata nel popolo di Dio questa malattia mortale, la quale era già stata messa in luce da Paolo VI, da Pio XII. Questi sono i Papi che hanno cominciato ad avvertirne il rischio. Non si tratta più – essi dicevano – di temere il peccato, perché chi teme il peccato comunque lo teme, ha il senso del peccato. Sul quale si può lavorare per impiantare la riconciliazione. Ma se è in crisi il senso del peccato. Se il vero peccato è l’impenitenza - non mi pento più dei miei peccati -, voi capite che tutto è annullato. Non ha più alcun senso un sacramento che rimette i peccati per un popolo che non sente più i peccati.
Qui viene toccato l’essenziale della vita cristiana. Il Papa ci richiama ad un’estrema serietà per ciò che riguarda il sacramento che Dio continua ad offrirci, semplicemente per riprenderci nel suo abbraccio paterno. Merita rendersi conto di che cosa significa questa serietà nella confessione. Ci sono almeno due aspetti: uno è più di carattere teologico : capire questo sacramento. Perché è un sacramento! Secondo: viverlo, utilizzarlo, farlo diventare personalmente vita. Dal punto di vista della comprensione teologica, questo modo di riconciliarsi a se, nasce tutto e soltanto dall’ardente volontà di Dio di salvarci, dal grandissimo desiderio che Dio ha di noi. Se avete qualche volta provato, proprio perché amavate, il desiderio quasi insopportabile di ritrovare una persona, di riaccostarla a voi, di ricuperarla, sentendone la mancanza profonda, allora avete una vaga idea di quello che è il punto di partenza di questo sacramento: un sacramento che nasce da un rimpianto da parte di Dio e da un rimpianto molto importante. Quando è Dio che ti rimpiange, non qualcun altro. Siamo all’origine che è la infinità carità di Dio che ci ha fatti per amarci e non vuole perderci. Meriterebbe riflettere su questo punto come uno dei temi fondamentali della nostra vita cristiana, della religione cristiana.. Tutto provocato da questo inesauribile amore, che ha un’ insistenza che supera tutte le nostre immaginazioni, che aspetta tutta una vita di un’uomo per raccoglierlo nel suo palmo negli ultimi cinque minuti. Che non si arrende mai.
Questa è l’economia in cui nasce il sacramento. E’ molto vivace, molto dinamica, molto forte. E’ per questo che l’Amore di Dio non si accontenta di chiamarci a se ma inventa il modo di farlo. In effetti la riconciliazione sacramentale non è l’unico modo di riconciliarsi con Dio. Sappiamo bene che un profondo atto d’amore di Dio ci rimette nella sua Grazia subito e spesso non si ha altro che questo. Se fossimo in quella situazione dove ci sentiamo in peccato e non c’è un ministro della riconciliazione, e oggi la vita ci mette in moltissime di queste situazioni, allora ecco che l’Amore, l’Amore da solo riconcilia con Dio. Basta. Ma Dio non l’ha ritenuto sufficiente per noi, Ha voluto rassicurarci molto di più.
Un’atto d’amore può essere molto sincero ma possiamo anche dubitarne, perché rimane una cosa tutta nostra. L’incontro con il suo Cuore giusto e misericordioso lo ha fatto diventare un sacramento, uno di quei pochi elementi della vita cristiana, cattolica, che hanno un suggello oggettivo di garanzia. Ossia che non si appoggia soltanto su delle certezze psicologiche. “Mi sento perdonato”, che può essere molto sincero, ma si appoggia a dei fatti oggettivi e perciò chiari. Il sacramento esige sempre un segno, di per se. E’ un segno. Vario secondo il tipo di sacramento, ma è sempre un fatto che è lì davanti a me, posto il quale, in un determinato contesto, accade certamente ciò che il sacramento mi dice. Così è per ogni sacramento. Il battesimo ha il segno dell’acqua, non si battezza senza l’acqua, è solo un segno, ma Dio vuole un segno perché quello c’è, è verificabile, rassicurante … E così per tutto gli altri. Il segno di questo sacramento è il fatto che il ministro della riconciliazione dice: “ti assolvo”. E dunque il fatto del perdono attraverso l’assoluzione dove, come nell’Eucarestia, il sacerdote, in persona di Cristo, si appropria di parole che in realtà solo Cristo può dire. Chi può perdonare i peccati se non Dio? E proprio questa l’obiezione che facevano i giudei a Gesù. Tu ti fai Dio ! Eh era Dio. Anche il sacerdote si fa Dio, è Dio, nel momento in cui con parole che solo Dio può dire e con potere d’Amore che solo Dio possiede dichiara questa riconciliazione. Il segno della dichiarazione del perdono è essenziale per il sacramento della riconciliazione. E’ un segno molto rassicurante perché può essere detto al rovescio: non ti posso perdonare! Dunque un segno che conta. Il fatto che il sacramento abbia un segno, non è soltanto a livello di messaggio, è un segno che produce, che da certamente la Grazia. A differenza di tutte quelle pratiche utili e belle che si chiamano i sacramentali, cioè che assomigliano ai sacramenti, ma non lo sono, il sacramento dà certamente un grazia, perché Dio la dà. A prescindere dalle nostre disposizioni, la grazia è data. Mentre nei sacramentali, ad esempio, una preghiera molto fervorosa, una pratica qualunque di pietà, un pellegrinaggio, ci vuole sempre una carica intenzionale, quella che proporziona il senso del pellegrinaggio, ma rimane molto aleatoria, molto soggettiva.
Nel sacramento non accade così. Tu hai sempre da Dio l’amore che ti avvicina a se. Poi ne farai quello che vuoi. E’ molto bello che questo capiti sempre, essendo questo sacramento iterabile infinite volte. Non c’è alcuna limitazione all’uso di questo sacramento. Tu ricevi grazia, e la ricevi in modo sicuro e così sei in pace. Occorre questo segno straordinario, perché è un segno fatto apposta per i peccatori: i non peccatori non ne hanno alcun bisogno. Occorre collocarlo teologicamente dentro la vita, metterlo nella mia struttura di vita cristiana, come un elemento indispensabile.
Molte altre cose che noi facciamo nella vita cristiana non sono affatto così indispensabili. Non che siano importanti o quasi necessarie, ma non sono così indispensabili. Nel senso che, se non ci sono, la vita cristiana non funziona. Non si può sostituirle con qualche altra cosa. Questo va capito molto bene perché il diradarsi della pratica di questo sacramento o deriva da una grossolana concezione delle cose, una coscienza addormentata per cui la persona si ritiene innocente, non so di che cosa dovrei chiedere perdono… e qui c’è uno strato notevole di insensibilità; oppure deriva dal fatto che si pensa di sostituire il sacramento in qualche altro modo qualsiasi , non fosse altro che con un aspetto soggettivo: Signore perdonami. Una formula che corre molto facilmente: chiedo direttamente perdono a Dio. Questo è un grave modo di ridurre la potenza del sacramento, anche perché è sempre un po’ miscelato con l’amor proprio.
Colloco il sacramento della riconciliazione nelle strutture portanti della mia vitalità cristiana. C’è la preghiera, qualunque poi sia la sua formulazione ed interpretazione, c’è l’Eucarestia e c’è il sacramento della riconciliazione. Di per se è più necessario il sacramento della riconciliazione che l’Eucarestia quotidiana. Non dico che sia più prezioso. Dico più necessario. Un abitudine invalsa proprio per la crisi di questo sacramento è di comunicarsi per un anno intero senza mai confessarsi: è un’abitudine negativa, dal punto di vista di una vera struttura cristiana. Perché che cosa c’è di più facile di ricevere l’Eucarestia in un certo contesto, di liturgia, d’abitudine, di suggerimenti non sempre esatti che posso venire anche da sacerdoti… Ebbene ci si abitua e si perde il senso profondo del rapporto umile con Dio. E’ necessario, come è necessaria l’Eucarestia nel giorno del Signore.
La Chiesa obbliga con molta delicatezza e rimane a tutt’oggi l’obbligo di accostarsi a questo sacramento almeno nel tempo del Pasqua, per celebrare il mistero della Pasquale, ma questo obbligo è molto tenue, perché se c’è un sacramento affidato alla libertà de cristiano è proprio questo. Qui o il cristiano è consapevole, adulto, maturo, e liberamente va da Dio come peccatore o è inutile portalo, tirandolo per il collo. Si falsa tutto. La collocazione teologica è molto importate. Ti vedo Signore, dal tuo amore sgorga questo tuo ardente desiderio , oserei quasi dire bisogno di me, visto che mi hai creato, ora mi vuoi. Apprezzo senza limiti il modo che tu hai inventato per me, perché attraverso il sangue, sempre riproposto di Cristo, quindi il suo amore straziato sulla croce, io continuo ad essere perdonato e con quel modo pratico di accedere a un modo in quel modo.
Questo sacramento, per la natura delle cose, ha anche delle difficoltà di carattere diverso. La teologia è però molto forte, molto pulita, molto bella. Bisogna vedere come inserirlo nella vita cristiana e come si utilizza personalmente questo dono di Dio. Questo è il punto importante. Perché ciascuno è se stesso, perché qui possono nascere le difficoltà, perché qui ci sono delle componenti che non ci sono in nessun altro sacramento. Qui la mediazione del ministro della riconciliazione è più significativa o almeno sembra a noi. In realtà la sacramentalità del segno è esattamente la stessa dovunque perché è sempre Cristo che perdona, ma mentre per altri sacramenti siamo più indifferenti al ministro, qui lo siamo di meno perché siamo direttamente implicati in una forma di rapporto di coscienza profondo, di confidenze della vita che richiede anche le sue delicatezze
Il sacramento della riconciliazione non si improvvisa. Non si improvvisa perché ho qualche occasione per farlo. Non si improvvisa neppure quando inspiegabilmente, ed è dono di Dio, ci sentiamo attratti alla confessione. Capita ed è un dono di Dio. E con ciò non è ancora il modo migliore di arrivarci. Il sacramento della riconciliazione va, in qualche maniera, tenuto vivo – come un fiore in una serra – nel sentimento della riconciliazione, che è un’altra cosa. E’ più abituale il senso di Dio, il bisogno di essere in pace con Dio, il desiderio di non allontanarsi da Lui, la sensibilità nei momenti in cui non siamo stati buoni, ecco un sentimento di fondo di riconciliazione. Come si ha quando, amando una persona, si ha sempre il bisogno di essere per lei, in qualche maniera, anche se non si attualizza in tutti i momenti.
E’ difficile staccare il sacramento dal sentimento della riconciliazione ed è questo primo che va coltivato. Lo si coltiva nella preghiera, nell’incontro con Dio, nella coscienza del Signore, insomma è una intimità con Dio. E perciò è importante ricordarlo perché quando ci troviamo inspiegabilmente demotivati per la confessione, come la si usa chiamare, quando andiamo ma strisciando un po’ i piedi, dobbiamo domandarci: non sto vivendo questo sacramento un po’ troppo così, all’improvviso, senza che sia in realtà l’espressione di un mio bisogno di Dio che ho dal mattino alla sera. Ecco perché si inserisce dentro una vita cristiana, un contesto che è un humus vitalizzante. La preparazione remota è questa. Guarda un po’, come tu, nel tuo rapporto con Dio, senza paure, però coltivi il bisogno di Lui, un buon rapporto con Lui. Che è adorazione, gratitudine, tenerezza, fiducia.. tutto questo insieme di cose. Allora sarai sensibile e allora ci sarà la preparazione immediata. Questa sera vado a confessarmi … allora questa è una cosa immediata… che quando si ha acquisita un’abitudine è anche molto facile, però ci vuole sempre. Anche in queste dimensioni più piccole, il sacramento non si improvvisa. La preparazione immediata significa almeno queste cose. Prima di tutto bisogna andare da Gesù avendo la contrizione del cuore. Cosa vuol dire? Vuol dire che non è a confessione dei peccati il primo elemento. Il primo è il bisogno di riconciliarci che è un bisogno d’amore. E questo è stato opportunamente messo in luce quando dopo il Concilio, rifacendo un po’ tutta la ritualità dei sacramenti, è stato ricordato che è proprio questo che ci spinge a Gesù. Cambiando quella certa abitudine che si era un po’ stabilita di vedere la confessione prima di tutto come il racconto dei propri peccati, la confessione vera e propria. Che ci vuole, che è un’elemento importante, ma che può essere in fondo più intellettuale che amoroso. Perché è un resoconto, è un riferire. Prima di tutto prepara il cuore, quando vai da Gesù. Egli ti sta aspettando con il suo Cuore.
I peccati li conosce il Signore. Aspetta invece da noi la novità del cuore che lo cerca, quel movimento d’amicizia che soltanto il nostro cuore sa inventare, se vuole. La contrizione si alimenta in un contesto di affettuosità verso Gesù. Intendendo il senso del peccato non solo come offesa, sebbene sia sempre un termine che si può usare, ma proprio come delusione che abbiamo dato a Dio nella linea tipica di Gesù, del far sorridere il Padre, del farLo contento. Il mio pane è fare la volontà di mio Padre. E’ una frase d’amore questa. Come si vede non c’è alcun senso di obbligatorietà. Eppure questa frase ha reso Gesù obbediente fino allo spasmo, fino alla morte, ma non per un comando se non altro che fosse l’obbligo del suo stesso cuore. Ecco il desiderio profondo di farti contento, e Gesù tra l’altro ha detto che chi lo riceve vive per Lui come Egli vive per il Padre. Ossia anche noi che riceviamo il Signore siamo mossi dal desiderio di compiacere Gesù e dal dispiacere di non averlo fatto. Perché non è solamente un’offesa; un’offesa è qualche cosa di molto più esterno, di più molto secco, di molto più freddo. Anche se è importante, ma sarebbe troppo poco pensare le cose così. E non viene diminuita la oggettività di un peccato. Ma dà al peccato tutto un altro significato. Si sentirono trafiggere il cuore : ricordate l’espressione famosa degli Atti del Apostoli, ecco la trafittura del cuore, che non sarà sempre alle lacrime, ma appartiene all’ordine dell’ Amore. Tutti noi conosciamo questo tipo di sentimento quando abbiamo offeso qualcuno, lo abbiamo fatto soffrire e ci dispiace molto. Tanto è vero che non basta neppure che l’altro ci dica: non ci pensiamo più, sei molto buono, non ci pensiamo più, ma il cuore soffre lo stesso, perché intanto l’ho fatto.
Con Dio è ancora diverso perché con Dio possiamo anche consolarci pensando che lui dimentica davvero. Dolore e detestazione del peccato – s’imparano al catechismo -, ma per amore. In fondo se i peccati non si fanno è per amore. Anche qui ci è stata una specie di prova del nove. I peccati non si fanno se non per le ragioni dell’Amore e se anche una parte notevole della struttura morale si è sfasciata è perché ci siamo accorti che i peccati non si fanno è anche per altre ragioni che non erano l’amore. Cadute queste ragioni è rimasto l’amore che c’era. Se c’era c’era; se non c’era subito domandi: chi me lo fa fare. La legge ad esempio, l’osservanza della legge, la deontologia della vita. Una società e per tanto delle famiglie ….
Il fare le cose perché si devono fare può anche trovare la sua audience, ma in realtà è sempre più debole, perché lo è il senso del dovere , il quale non si àncora più a nulla e lo stesso rapporto di doverosità con Dio non entusiasma nessuno, perché il senso di Dio e della sua grandezza non c’è più. E’ vero che dobbiamo a Dio tutto. Il dovere non è svanito ma è mescolato all’amore. Invece, in questi casi, non è più così. Allora il dovere non tiene più, tanto meno tengono quelle forme un po’ così di controllo sociale, “ non si fa perché se no la gente che cosa dice..” che tenevano insieme all’apparenza delle strutture. Guardate voi il matrimonio che sfascio ha incontrato perché i controlli sociali ne sono andati. Tenevano ed aiutavano, erano degli aiuti, nella sostanza. O ami, e vai dunque portando la tua contrizione e se pare di non sentirla, chiedila: donami Signore il dolore semplice dei miei peccati. Cosa c’è di più facile? Allora si c’è la confessione come secondo elemento.
La confessione che nasce da una vera conoscenza di se. Non è affatto detto che noi ci conosciamo abbastanza. Se Dio non ci illumina ci conosciamo poco. E neanche il migliore psicologo ci aiuta su questa strada. Il discernimento, il conoscimento di se, come diceva Teresa d’Avila, è un dono che scende da Dio. Sai chi sei se Dio ti illumina, sai come sei se Dio ti illumina; e che sorprese qualche volta. Cose che ritenevamo virtù adesso le vediamo come deficienze. Cose che non vedevamo affatto ora le vediamo. Cose che non consideravamo virtù adesso vediamo quanto valgono agli occhi di Dio. Tutto si rovescia. Dunque il conoscimento di se, che in questo caso è dove Signore io non ti piaccio, io che voglio piacerti, dove non ti piaccio?
La domanda non è piccola. Sulle prime si può rispondere: mah non so neanche io, forse qui, forse là, vado un po’ nell’incerto. A poco a poco Dio ci illumina e ci fa sempre meglio capire dove ci gradirebbe ancora diversi. E’ il paragone , comune ai santi: solo nel raggio di sole che entra nella finestra si vede il pulviscolo, altrimenti l’aria sembra pulita e invece è piena di pulviscolo. Ma ci vuole la luce. Così di te stessa/o capisci chi sei, nel bene e nel male, man mano che la luce ti illumina. Prima di tutto la confessione è questo dirsi, è questo ammettersi, ed è umile, non informiamo mica Dio, informiamo il confessore, il quale non essendo Dio deve sapere, deve conoscere, per dare un giudizio, perché è il suo compito, su quella che è la nostra reale posizione nei confronti di Dio. Questo è l’aspetto, come dire, giudiziale, critico del sacramento da parte del sacerdote, perché devo capire, di fronte a un fatto oggettivo, che di per se potrebbe essere nulla o grave, devo ancora capire come soggettivamente lo ha vissuto quella persona, – se no come faccio a dare un giudizio – per quanto possibile, equo, misericordioso e giusto sul vero rapporto di questa persona con Dio, visto che sono lì per dire: ti perdono.
Un’ adulterio può essere gravissimo per una persona, e bere un bicchiere d’acqua per un’altra. Ora è chiaro che l’adulterio è sempre quello, ma devo rendermi conto come lo ha vissuto, come lo interpreta questa persona, per correggerla, e nel caso educarla, farglielo capire, ma nello stesso tempo non farle gravare addosso oggettivamente un giudizio che soggettivamente per la sua impreparazione non merita, perché allora non avrei la misericordia di capire e soprattutto di aiutare a far maturare meglio una coscienza che evidentemente è molto disinformata; a dir poco, grossolanamente impostata; spesso è così perché è così che cultura la educano. La confessione significa: Io dico, proprio nel senso di confesso, lo dico, svelo ammetto ciò che vorrei non aver fatto, là dove non ho amato abbastanza. E’ importante, non lo dico a te confessore, lo dico a te perché tu devi saperlo per dare un giudizio equo. Ma in realtà io mi sottopongo al giudizio di Dio perché chi si accusa Dio lo scusa, si usa dire. Io so che Dio è il mio giudice, so che Egli è Santo, so che devo adeguarmi a Lui: Siate santi perché Io sono Santo”. allora io mi sottopongo al tuo giudizio, sono qua Signore, sono qua, e poi con le grandi parole del salmo posso anche dire: Signore Se tu mi giudichi, io cosa posso fare. Però io mi affido a te. Paolo diceva: Io in questo momento non mi rendo conto di nulla come peccato, ma non mi ritengo giusto per questo, mi consegno a Dio. E’ molto bello questo consegnarsi alla giustizia, alla giustizia, badate, non alla misericordia. Non stacchiamo troppo le due cose, ma alla limpidezza, alla verità di Dio. Perché lì io nella verità mi lavo, mi purifico. Spesso da me mi giustifico, mi racconto un po’ delle storie, mi dico che si faccio così, ma tutti me lo dicono: non preoccuparti. Adesso mi lavo nella verità. Quindi accusarsi e pur molto semplice ma è molto bello.
E’ molto liberante, specialmente in quest’epoca in cui è difficile veramente portare alla luce la nostra anima. Quando ci sono questo desiderio grande di Dio e questo bisogno di dirsi a Lui. Dirsi e darsi sono molto vicini, in realtà. Gesù non aspetta altro. Nel Vangelo troviamo grandi perdoni che non hanno neppure la confessione … di per sé. Tanto Gesù anticipa tutto, si capisce. Però è questo l’importante : il tuo atteggiamento mi dice tutto. Qualche volte ci sono penitenti che non sanno neanche parlare, perché sono molto emozionati del fatto che sono davanti a Dio. E’ inutile strappargli così, con le pinze delle parole, dicono tutto per come sono.
E poi c’è un aspetto che noi abbiamo un po’ minimizzato, che è la soddisfazione, cioè: non hai amato ? Allora ti rimane un debito: pagalo… Le nostre piccole penitenze, come usiamo dare, sono una piccola cosa, ma occorre recuperare nella vita il fatto che non abbiamo amato. Insomma se ha un certo punto rompi un vetro, il padrone dice: non preoccuparti, non preoccuparti, sei perdonato. Con tutto ciò è meglio che tu metta a posto il vetro. Una cosa è la colpa che è completamente rimessa e l’altra è il fatto che rimane qualcosa da riparare. Debito d’amore. Come pagherai questo debito d’amore che ti sei fatto con Dio? E allora sì pregherò con più amore, ad esempio, ecco, la preghiera ha un grandissimo significato. Ma laddove il debito d’amore lo hai contratto con altri, allora devi anche pagare della stessa moneta. Per cui se offendo una persona, tu andrai a donarle un po’ di amore in più. E come è difficile.. Se io dicessi a chi ha offeso una persona: dirai un rosario. Benissimo volentieri. Dirai un rosario per quella persona, sì lo dirò…. Invece .. Non dirò nessun rosario, andrò da quella persona e farò un sorriso sincero. Qui viene il difficile. D’altronde la riparazione è questa, perché che ne sa quella persona del vostro rosario. Continuerà a pensare che c’è l’avete con lei. E’ molto concreto, molto elementare il ragionamento, però è vero. Cose che facciamo nella vita, tra l’altro. Dio non ha inventato un sistema diverso. Occorre soltanto, appunto, adottare la stessa moneta. Il concetto di debito e di credito è importante in questo caso. Sempre per amore. Tutto questo non rende complessa la faccenda. Il sacramento rimane semplice.
Il Cafasso che è stato un grande confessore, quando insegnava ai giovani preti a confessare, la morale era più attenta, più minuziosa, quindi facevano i casi teorici: vi era un tale che comincia a dire questo poi questo. Costruivano i casi complicati. Ed egli diceva: guardate spesso i grandi peccatori si assolvono benissimo in tre minuti; assommando nel cuore, con l’aiuto dello Spirito, questi elementi, accade proprio così. Tant’è vero che per persone un po’ scrupolose, che non sono mai troppo in pace, perché la confessione è un problema, ricordare, non ricordare, si, no, il dubbio, la dimenticanza. Il consiglio sempre lo stesso: in questi casi si deve ridurre molto la confessione come preparazione, perché tanto Iddio vede e allora non deve diventare un tormento. Il sacramento stesso,. In più non farlo per abitudine. Il più è non farlo dicendo al confessore i peccati. Il che non è poi tanto raro che accada. Perché in fondo è utile, dico. Ma non posso dire allora ho fatto così, così così… e raccontano di tutto. No : stai davanti al Signore, e a Lui devi dire: Signore ti chiedo perdono, perché è diverso: sono due soggetti diversi. E dove c’è abitudine ci può essere così una certa consuetudine. Il rischio c’è sempre. Tanto più per voi e per come si vive oggi. perché siete portate a dire il peccato nel contesto della situazione che l’ha provocato. Potete dire Signore, ti chiedo perdono perché tu mi dici sii mite e io non sono stato mite. Mi dispiace proprio. Basta quello. Normalmente si tende a raccontare il perché e il per come si è stati miti e quasi sempre si coinvolge anche un altro che ci hanno provocato o provocata. Non sono stata mite perché lui o lei. Invece di dire non sono stata mite perché non sono stata mite. E tutto lì. E così diventa racconto, meno confessione e più colloquio e diventa anche un ripetere la stessa emozione. Per cui alla fine io mi sono di nuovo arrabbiato pensando a quella cosa là.
Il sacramento ha un suo effetto. Ogni sacramento. Ma per alcuni sacramenti ci è garantita una grazia per l’intera vita. Il Battesimo che ci fa cristiani, ci fa cristiani per sempre. E’ un’inesauribile sorgente. Così la cresima, così il matrimonio finché è matrimonio che esiste. Quando i coniugi ci sono tutti e due, non nella vedovanza, quindi.
Altri sacramenti, che sono dentro questi grandi sacramenti che contengono tutto, continuano nella situazione gli stessi effetti. Il sacramento di cui parliamo continua l’effetto del battesimo. Morire al peccato e nascere alla Grazia. Ma lo continua applicandolo a delle situazioni, a un segmento di vita. Perciò la Grazia in qualche maniera, “si esaurisce”, sarebbe dire una cosa un po’ materiale, ma va rinnovata in sostanza. Perché le situazioni cambiano. Quando vi confessate, con la grazia che ricevete, potete dire: Signore, questo aiuto che tu mi dai, lo voglio applicare alla mia pazienza con.. E andrà proprio lì. Perché ne fate ciò che volete. Ma se avete anche un’altra persona o ne compare una terza che prima non c’era ecco tutto va rinnovato.
Allora si rinnova il sacramento. L’esperienza dice che dopo un poco ci sentiamo meno motivati al bene. La nostra volontà incomincia ad essere più debole. Se il sacramento ci è dato di partecipare a Cristo, perché è sempre così un sacramento, in quanto Cristo vuole il bene e detesta il male, allora questo effetto mi risveglia per un po’ anch’io voglio di più il bene con lui, poi piano piano, la mia natura si appesantisce. E lo voglio un po’ meno con entusiasmo e comincio di nuovo ad avere un momento di crisi e il momento di rinnovarsi. Questo è così vero che la Chiesa ha sempre disciplinato per la vita sacramentale dei consacrati, quella a livello esemplare – dovrebbe essere così – e anche i sacerdoti, questo sacramento. La nostra disciplina indica che dobbiamo, dobbiamo, dico proprio così perché è disciplina, accostarci a questo sacramento almeno ogni quindici giorni. Ed è già stato un allargamento perché la norma era settimanale.
Poi uno fa come vuole. Proprio nel senso della libertà e nel senso che ci si può accostare di più, non troppo se no si cade nel bisogno di sacramento che diventa un’effetto placebo e non è più così sereno. Dunque periodicamente.
L’esempio più semplice è quello del ponte con tanti pilastri e le arcate. Quando le arcate scendono appoggiale ad un sacramento. Ma questo è intuitivo. Lo si capisce da se.
Oltre un certo punto a confessarsi poco si arriva all’insensibilità al sacramento. Allora bisogna fare qualche cosa che guarisca.
Voi lasciate la confessione per una volta, per due volte. E il Signore continua a dire : Ehi, ehi… Si fa sentire…Alla domanda: Non ha mai pensato prima di oggi di confessarsi, quasi sempre la gente risponde, se il caso, : Sì. Dio si è fatto sentire.
Ma se tu non rispondi, non si fa più sentire. Allora tutto entra in insidiosa pace: non ho problemi, non e sento il bisogno – non penso sia il vostro caso – ma può accadere a tutti.
La periodicità è legata alle sue motivazioni. Perché ti confessi? Mi confesso perché voglio riconciliarmi con Dio. Non c’è altra risposta. Siccome ci sono delle concause: mi confesso perché voglio avere la coscienza in pace. Buono, ma non basta. Mi confesso perché insomma devo proprio dirlo questo. Buono ma non basta. Mi confesso perché sono andata a Lourdes tutti insieme e lì ci si confessa. Buono ma non basta. Sono tutte concause che da sola non fanno la causa: L’Amore. La vera motivazione è quella. Perché non ti sei confessata/o ? Eh, non c’era il mio confessore. Questa poi è bella. E non rara. E completamente sbagliato fare così. E come uno che muore perché gli manca il medico… Me ne vado tranquillo in paradiso. Ma dico è un sacramento questo. E’ un sacramento . Cosa c’entra il ministro. Dico che non c’entra niente. Voi potete dirmi: E si che c’entra! Non avete torto sotto un altro aspetto, ma dal punto di vista sacramentale avete torto. Perché chiunque è stato ordinato sacerdote e può dire validamente : Ti assolvo. E’ buono, basta quello. Al punto che se andate in Inghilterra o in Sud Africa, voi non capite niente, lui non capisce niente, è quello che si chiama il defectus idiomatis, in teologia. Sei qui, vuoi il perdono, è chiaro, se no non saresti qua. E io ti assolvo.
Siamo a posto. Quella confessione non è una confessione di ricupero, va benissimo così per Gesù. Cosa potreste fare d’altro..
“ sono andate sei mesi a fare il volontario in Africa, ma non c’era il mio confessore..” . Queste sono acrobazie che siamo capaci di inventare. Sono proprio sbagliate. No! Il sacramento è quello. Con ciò non dico che con il confessore/ direttore spirituale ci sia anche una maggiore facilità, opportunità, perché no, di avere anche il confessore. Ma ci sono due ragioni diverse qui. Una perché quel confessore mi va a genio. E’ gentile, è buono, mi tratta bene, non mi sgrida, insomma mi piace.. Tutto è possibile. Certamente è meglio che sia gradevole che sgradevole. Su questo non c’è dubbio, in tutte le cose, anche in questa.
Ma non bisogna indulgere troppo su questi criteri che sono in fondo alquanto umani.
Più importante è l’altra cosa. Quando la confessione è regolare, finisce per diventare, se le circostanze lo consigliano, una guida, una profezia. Allora questo è opportuno. Perché ci vuole questo lavoro. Uno dei lavori dei sacerdoti, dice il Concilio, è aiutare ogni cristiano a realizzare la propria strada. E quindi è un’aiuto, un servizio importante.
Le cose si possono, direi, identificare, ma mai confondere, la confessione e la contrizione rimangono più importanti.
Tant’è vero che spesso conviene non mescolare troppo le cose se no, da un sacramento si passa a una direzione spirituale che è molto di meno.
Credo di farmi capire. Potete avere problemi, ne parlate, umanamente, e problemi che sottoponete ad un discernimento spirituale. E così. Però è diverso. Alla fin fine chiuso il discorso, dobbiamo recuperare il fatto che siamo lì davanti al Signore per farci perdonare. Insomma un’equilibrio che il sacerdote, perché tocca spesso a lui, deve sapere… Dal punto di vista vostro, siete perfettamente autorizzati a questo uso del sacramento che ha anche questo aiuto. E anzi è addirittura consigliabile, con il dovuto equilibri.
Perciò che riguarda la revisione di vita e l’esame di coscienza, espressioni che non sono semplicemente sinonimi, l’esame di coscienza è più interiore, più profondo. Però è molto aiutato dalla revisione di vita. Cioè come vivi, come ti comporti? Di fronte a te ma anche di fronte agli altri. Spesso abbiamo dei correttori attorno a noi. Sulle prime possono essere sgradevoli, talvolta si sbagliano. Ma qualche volta non si sbagliano. E se non si sbagliano, io devo accettare questa revisione di vita che mi viene dall’esterno e dalla mia coscienza mi domando: “ Me ne rendevo conto?” Forse no, innocentemente. Sarà meglio che ci pensi, è un richiamo che mi viene.
La vita, come è il tuo comportamento, come si specchia negli altri, e poi il tuo esame serio di coscienza. La tua coscienza, volte ti fa dire: guarda non preoccuparti, fa lo stesso, vai avanti. Sì, tu sei cristiano, e hai una persona vicina sul lavoro, ovunque siate, appena si accorge che sei cristiana si imbestialisce. E tu che devi fare. Non essere più cristiana perché non si imbestialisca. No. Devi avere pazienza. Peggio per lui, peggio per lei. La coscienza dice una cosa e.. ma sono casi che si gestiscono. C’è un benefico intreccio tra il vivere comportamentale e la autocritica etica che si fa nel segreto della propria vita. Tenendo conto del fatto che di certi comportamenti, nessuno vi rimprovererà mai, se non pregate chi vi rimprovera. Anzi ti diranno : bravo, così non perdi tempo. Quindi la coscienza evidentemente rimane il punto fondamentale, quel vero punto della verità testimone profondo. Ma si mettono insieme le cose.
Un’esame di coscienza o revisione di vita non è soltanto autobiografico, ma bisogna confrontarsi, e allora la Parola di Dio, Gesù i suoi esempi, i suoi insegnamenti, sono lì, continuamente La preghiera qui torna ad essere un’alimento di verità.
Questo è quello che in breve si può dire di cose di cui si potrebbe parlare molto di più. In sostanza il punto è lì.
Crisi, valutazione, che potete anche apostolicamente ricordare a qualche vostra amica/o nei guai spirituali, aiutandoli a superare il disagio – quasi sempre – di accostarsi alla confessione, proprio in quanto tale.
Il senso teologico profondo di grandissima riconoscenza. Bisogna sempre dire grazie dopo che ci si è confessati. Grazie a Dio, che una volta di più ci ha mostrato come si vuole bene, ci aspettava, ci è fedele.
E poi questi aspetti di cui ho detto.
Dopo di che non mi rimane che augurarvi di essere o diventare sempre migliori penitenti, come soggetto del sacramento dalla parte di chi chiede il perdono, perché e sempre un dialogo questo.
Nei casi più difficili, ricordatevi che la Madonna è rifugio dei peccatori, e quindi ci va proprio bene.
Parlando dell’esame di coscienza bisogna notare i differenti aspetti. Abbiamo qui parlavo di quello della confessione. L’esame di coscienza della sera non si improvvisa. Assomma, riferisce un po’ quel certo controllo quotidiano della nostra vita, soprattutto sui punti più ripetitivi. Tal’ora ci colpisce uno scatto che ho avuto, ma che grazie a Dio, si tratta di un episodio, poi non si ripete. Ci impressiona di meno il difetto a cui siamo abituati. Non c’è ne accorgiamo neppure. Il mormorare un po’, il criticare un po’ e… quelle cose lì. Ecco bisogna stare attenti. Identificare il difetto più che non il peccato e sul difetto, misurarsi, perché questo è un sacramento di crescita. Questo si chiama anche strettamente di santificazione. Chi non ha peccati gravi, grazie a Dio, non è che vada lì a un ritmo sempre uguale. Si cresce, e proprio per farci crescere.
Un difetto preso di mira è vincibilissimo. Non c’è nessun difetto invincibile. Nessuno. Però bisogna andare alle abitudine, che spesso preparano la frana. Se un marito viene a dirmi: sono andato con una donna. -non so come mai, mi dispiace -, è certo un peccato. Eppure mi preoccupa di meno delle sue abitudini normali. Perché sono le abitudini normali che hanno creato quello slittamento. Come ragiona, cosa legge, come parla, che barzellette dice, cosa vede alla televisione, che pensieri ha per la testa. Tutte robette sembrerebbero. Cose della vita. Invece indeboliscono e poi arriva il momento in cui in questo come in tutti gli altri peccati l’abitudine genera il collasso. Quindi l’esame di coscienza quotidiano serve molto, soprattutto se uno vuole far diverso.
Le parole di Gesù: “Vegliate e pregate” possono riferire a questo. La veglia è questo: stare un po’ attenti. Istintivamente lo facciamo, poi lo facciamo in tutte le altre circostanze. Guardate, quando siamo in un’ambiente che richiede un po’ più di contegno, ci controlliamo di continuo. E’ normale. Qui ci autocontrolliamo nel senso di questo piacere a Dio che ci sta a cuore. E normale fare così. Non è difficile. E’ anche bello perché ci rende delicati. Ci rende fini con Dio. Dio apprezza la finezza.
Lo slogan di molti santi: Dio ti guarda ( nel Cottolengo sta scritto sui muri), Dio ti guarda non è poliziesco. Dio ti guarda come uno che ti vuole bene, come uno che ti ammira. Che ti guarda perché Gli piaci. La cosa diventa un po’ diversa. Di fronte ad uno che mi guarda mi ravvivo, sto più attendo in piccole cose. Tutti facciamo così. E’ normale. Dio ti guarda così, perché ti vorrebbe sempre compiacersi di te, esattamente come ha fatto con Gesù; Il suo scopo è sempre buono. E lo ricordiamo ci lusinga, ci incoraggia, perché è bello far piacere a Dio. Ti son piaciuta oggi. Sì, oh che bella cosa. E questa è una bella giornata. Non tanto in quello. Beh mi dispiace, domani ci riprovo. E’ così in una vita di famiglia. E’ un sentimento che ci è abbastanza facile, secondo me. Soprattutto con Gesù. Sotto questo punto di vista deve vederne delle belle. Bisogna anche che possa riposarsi un po’ gli occhi. Povero Gesù. Su qualcuno che cerca di piacergli. Perché Dio è capace di aver i suoi occhi che si incantano in un’anima bella, come diceva Schelling, in un’anima buona, in un’innocenza in una rettitudine. Dio è capace, Dio ammira, ha creato un mondo bellissimo Ha il senso della bellezza. E’ bello ricordare questo.
La confessione diventa una specie di maquillage misterioso e profondo, farsi belli per Dio. L’aspetto estetico del Cristianesimo non è un romanticismo. È così, saremo bellissimi anche sotto il profilo etico e risorto quando saremo nel Regno. E questa ambizione dobbiamo averla…
Catechesi di Mons. Giuseppe Pollano tenuta il 28-5-2002 – Torino
Trascrizione non rivista dall’autore e adattata in forma scritta.