II DOMENICA DI QUARESIMA – Omelia di Don Pollano
Gen 15, 5-12.17-18; Sal 26; Fil 3,17-4,1; Lc 9,28b-36
“Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo”
Vogliamo oggi fare a Dio nostro Padre, sentite le sue parole, il dono di rispondergli: “Sì, ascolteremo tuo Figlio, l’eletto?”. L’esortazione ad ascoltare Gesù proviene da una voce che ci ama e che ci dà questo comando, ma nello stesso tempo si rivolge a noi con tono quasi supplichevole. Il senso di questa pagina grande del Vangelo di Luca si raccoglie tutto qui.
Il segno della luce, che caratterizza la scena della Trasfigurazione, è sempre una manifestazione di Dio: c’è qualcosa ancora da sapere, ancora da vedere, ancora da imparare. Tutti gli uomini sono chiamati a questa illuminazione, ma noi cristiani la possediamo perché possediamo Gesù Cristo. Ecco perché l’ammonizione “ascoltatelo” si addice pienamente a quello che siamo: il cristiano è l’ascoltatore di Dio, anzi, il cristiano è tale nella misura in cui è ascoltatore di Dio e lo diventa sempre meglio. E, se lo ascolta come gli è chiesto di farlo, con tutto il cuore, l’anima e la mente, la sua vita è impregnata di questo ascolto.
Dobbiamo capire bene perché abbia tanta importanza la categoria dell’ascolto. Noi ascoltiamo una persona quando lasciamo che la sua parola entri nella nostra coscienza, nella nostra mente, cioè quando l’accogliamo, o addirittura la vogliamo.Tutte le volte in cui ciò capita, non è la parola dell’altro che entra in noi, ma è egli stesso mediante la sua parola. Noi accettiamo, dunque, che l’altra persona entri nella nostra vita profondamente, fino a trasformarla. Questa esperienza ci è notissima: pensiamo ai nostri comportamenti quando amiamo qualcuno. Ascoltiamo la sua parola, l’accogliamo dentro di noi, la desideriamo. E questo accade anche quando non si tratta di chissà quale discorso, ma di una semplice chiacchiera, perché ci piace che, attraverso la parola, l’altro entri in noi. La parola è il segreto della nostra comunione.
La Parola di Dio è Dio che viene in noi con la Parola, e ci fa vivere. Tutto questo si verifica nella misura in cui l’accogliamo, anzi, la vogliamo, perché amiamo. Non si può chiedere questo atteggiamento a un indifferente verso Dio. Egli arriva anche a conoscere la Parola a memoria, da esperto, da filologo, ma non ne è coinvolto, perché non desidera che Dio entri in lui mediante la Parola. Noi, invece, sì, e siamo qui proprio per questo.
Si potrebbe a questo punto avanzare una ragionevole obiezione: “Ma siamo noi veramente in grado di dare ascolto alla Parola?”. Infatti, se l’ascolto è l’esperienza che abbiamo detto, richiede alcune condizioni che spesso ci sono sottratte, tanto che vorremmo essere ascoltatori, ma corriamo il rischio di non riuscirci.
La nostra civiltà, soprattutto negli ultimi cinquant’anni è andata vertiginosamente crescendo nella capacità di darci delle parole, poiché ci somministra fiumi di messaggi. Da mezzo secolo è diventato di uso corrente un termine che la dice lunga, l’industria culturale. Essa mira a trasmettere del sapere e si è costruita un gigantesco apparato di strumentazioni.
L’industria culturale, avendo un obiettivo economico, cerca di catturarci. A noi pare di essere liberi, mentre siamo presi dentro questo invisibile mondo del messaggio che arriva sempre, lo si voglia o no, e che, se non stiamo attenti, ci rende schiavi. E’ stato detto, in proposito, che siamo ormai tutti ampiamente colonizzati. In questo caso il territorio è la nostra anima, colonizzata da un’invasione di parole, saggi, immagini, eccessivi per la nostra stessa capacità di ricevere. Non abbiamo cercato noi questa situazione, siamo vittime che ne patiscono il peso. Diventare o conservarsi, o addirittura crescere nell’arte di essere ascoltatori della Parola di Dio, oggi richiede, quindi, qualche attenzione in più, perché il condizionamento è molto forte.
Pertanto, ascoltatori e ascoltatrici della Parola, vigilate: il cammino non è facile, ma è possibile percorrerlo. Siamo nati per ascoltare, siamo battezzati nella Parola, che dobbiamo accogliere per donarla agli altri: siamo popolo di Dio ed evangelizzatori.
Allora occorre rifarsi la strada e il primo obiettivo da realizzare, se c’è la volontà di ascoltare, sarà quello di creare uno spazio di silenzio dentro di sé. Un poco di silenzio puramente fisico è indispensabile, anche se l’ambiente in cui viviamo ostacola fortemente questa esperienza. Si tratta di trovare un angolino, in cui in qualche modo ci sia il silenzio fisico, e lì ricercare il silenzio psichico, perché non basta che non entri nulla nelle orecchie, occorre anche che quello che dentro parla sempre – pensieri, preoccupazioni, fantasticherie…- sia messo a tacere, sia accantonato, affinché si faccia il vuoto.
Allora arriviamo al silenzio spirituale e ci accorgiamo che Dio c’è, perché esiste in noi. Se solo sappiamo creare silenzio fisico e silenzio psichico, ci accorgiamo che Dio è in noi, e siamo in condizione di ascoltare.
Silenzio non significa fronteggiare il nulla, ma mettersi in posizione di ascolto davanti all’altro. Anche questo è un meccanismo che conosciamo benissimo: quando due o tre persone si parlano per dialogare veramente, fanno tutto questo senza accorgersene, il resto scompare e loro sono attente solo ad ascoltarsi. Giustamente si dice che, se tra noi il linguaggio è la parola, tra noi e Dio il linguaggio è il silenzio.
A questo punto sei pronto ad ascoltare. Allora che cosa fai? Prendi il Vangelo – è Parola – e lasci che questi piccoli diamanti di verità cadano dentro la conca di silenzio che hai saputo creare. Ogni parola di Gesù ti illumina, contiene sempre un messaggio per te, e diventi ascoltatore non solo perché la senti, la leggi, ma perché, come ascoltatore vero, ti lasci muovere da lei.
Prima di tutto, l’ammiri: la Parola di Dio merita ammirazione, ma questo atteggiamento non è immediato, richiede un momento di calma, nella fede, affinché tu senta che quello che dice Gesù è ammirevole. Si tratta di vivere una specie di estetica della Parola di Dio, che però non è solo emozione. Come capita di dire a qualcuno: “Che bella cosa hai detto!”, così anche la lettura del Vangelo dovrebbe suscitare la reazione: “Signore, che bella cosa hai detto!”. E il termine bello in questo caso vuol dire ‘buono, positivo’.
Non si può essere ascoltatori se non si è nel silenzio ammiratori della Parola. E questo, per noi credenti, è connaturale, perché abbiamo in noi lo Spirito di Gesù e siamo suoi fratelli. Siamo fatti per questo, occorre soltanto purificare l’attenzione e ci troviamo in sintonia con Gesù.
“Che bella cosa hai detto Signore!”. Poi il bello diventa desiderabile, allora la Parola ottiene il consenso interiore, prende il cuore, prende la volontà, ti fa agire. Quando leggi la Parola di Dio, l’ammiri e senti che è vera – ecco il consenso – e se, mosso da qualche sentimento negativo, ti capita di provare il desiderio di resistere e lo assecondi, senti dentro una specie di dolore e un segreto rimorso. Non si uccide mai neanche una sillaba della Parola di Dio senza patirlo
Se invece tu consenti, se ti lasci convincere da Gesù, la Parola diventa quello che deve diventare, prendendo tutta la tua confidenza: “Mi fido, Signore, mi stai dicendo cose sovrumane, ma mi fido, anzi, mi fido proprio per questo, e perciò mi affido, mi consegno”.
Agostino diceva: “Io cerco te, perché in te, Verità, la mia anima vive”. Quando ti senti vivo, perché hai ascoltato un po’ di Vangelo, che ti ha raggiunto nel profondo, ringrazia Dio, perché sei figlio della luce. La beata Elisabetta della Trinità diceva: “Oh, Verbo eterno, Parola del mio Dio, vorrei passare tutta la vita ad ascoltarti!”. Era in clausura, ma non credere che sia impossibile a qualunque cristiano, in qualunque situazione, ascoltare la Parola. Non si tratta di ascoltare un libro, ma una Presenza, la Parola, Dio che c’è, nei mille modi in cui Lui entra nella nostra consapevolezza.
Ecco come possiamo oggi fare a Dio nostro Padre il regalo che aspetta: “Ascolteremo tuo Figlio. E, se siamo frastornati, prigionieri nel ‘villaggio globale’, se siamo ‘sovradosati’ per tutto quello che ci viene detto, e anche urlato, sapremo trovarci la strada, non saremo figli stolti e pessimisti. Lo ascolteremo”.
Se il popolo di Dio deve avere la sua primavera, com’è necessario che avvenga, sarà un risveglio che nasce di qui: il seme cade, la Parola c’è. Rileggete la parabola di Gesù riguardo alla Parola, la celebre parabola del seminatore, e desiderate essere il buon terreno dove il seme dà molto frutto.
Abbiate fiducia in voi stessi, tutti ne siete certamente capaci: Dio si è impegnato, Egli è l’alleato forte, ne siamo sostenuti. Poi raccomandatevi a Maria, che ha saputo bene che cosa volesse dire immergersi nella Parola, perdersi in essa e – tutto all’opposto che essere nemica della croce – credere appassionatamente alla Parola quando ha visto suo Figlio morire davanti ai suoi occhi. Anche in quel momento non ha tradito la Parola, non ha gridato: “No, non morire!”, e con Lui spiritualmente si è fatta vittima di amore.
Così dobbiamo essere, per non diventare come i poverissimi, di cui parla Paolo, “…che hanno come dio il loro ventre”. Se accostate i due significati: Dio e il ventre, ebraicamente ‘il mondo degli istinti’, rattrista e atterrisce pensare che ci siano uomini e donne il cui dio è questo. No, per noi non sia così: il nostro Dio è la Parola.
Don Giuseppe Pollano