V DOMENICA  DI QUARESIMA

Is 43, 16-21; Sal 125; Fil 3, 8-14; Gv 8, 1-11

Lasciarsi conquistare da Gesù Cristo

Questa nota pagina del Vangelo offre l’occasione per una grande domanda, che si può formulare con le parole usate da Paolo nella Lettera ai Filippesi, per proclamare la sua fede “…sono stato conquistato da Gesù Cristo”: volete lasciarvi conquistare da Gesù Cristo? Avete il diritto di rispondere: “E’ già accaduto”, ma io ho il dovere di dirvi che può accadere sempre di più. Qualunque altra cosa vi succeda o qualunque altra persona possa conquistarvi, volete che la vostra vita sia la storia dell’essere conquistati dal Signore?

La domanda non si rivolge solo alle vostre intelligenze – sarebbe poco se si limitasse a questo -, ma entra direttamente, arditamente, nei vostri cuori: il cristianesimo non è una lettura teorica del mondo, ma un rapporto profondo d’amore, dato e ricambiato, a un alto livello, tra Lui e noi.

Il Vangelo ci presenta questo ‘conquistatore’ all’opera. È un episodio che quasi strappa l’applauso e ci piace perché sulle prime lo collochiamo sul piano di una sfida. All’interno di questa interpretazione, la figura che emerge è quella della donna colpevole, salvata da Gesù. Lettura non fallace, ma certamente molto riduttiva. Il personaggio centrale rimane Gesù, che sta mettendo in atto un tentativo di conquista. Si tratta di tentativo, perché Egli si trova sempre di fronte alla libertà delle persone: in questo caso, la donna e gli altri protagonisti della scena evangelica.

Chi vuole conquistare comincia sempre, anche tra noi, dallo sforzo di arrivare nell’intimo dell’altro, più propriamente nella sua coscienza nascosta; e lo fa con amore per risvegliare l’amore, ma non soltanto per questo: desidera toccare il profondo dell’altro, far sì che egli si accorga di trovarsi davanti a qualcuno molto buono e dunque risponda: “Sì!”.

L’altro deve accorgersi che è amato. Se qualche volta avete attuato questa bellissima operazione umana con la vostra bontà, con la vostra cordialità, facendo capire a qualche persona, abituata a essere messa da parte, svilita, neanche guardata, che invece le volevate bene, avete rivelato lei a se stessa e provocato nella sua coscienza una scintilla vitale: “Ma allora mi vuoi bene!”. È nata, quindi, in lei una nuova valutazione di sé: ella si accorge di cose che non sapeva ancora, fa dei confronti e prende delle decisioni.

Nel caso descritto dal Vangelo, Gesù voleva arrivare a delle coscienze, tutte, per motivi diversi, chiuse. Lo erano soprattutto quelle degli scribi e dei farisei, ai quali, anche se lo hanno chiamato Maestro, non importava nulla del suo insegnamento, che anzi dava loro fastidio. Voleva arrivare alle loro coscienze sicure di sé, ferme nella giustizia della legge, e voleva anche raggiungere la coscienza della donna colta in peccato.

Vediamo qual è il modo di procedere di Gesù. Dinanzi a questi uomini, chiusi nelle loro certezze, i quali gli propongono una condanna giusta in quel tempo, Egli invita a una riflessione. L’evangelista dice “…si mise a scrivere col dito per terra”. Questo verbo, in greco, apparteneva all’ambito giuridico e significava “scrivere un atto di accusa”. Essi parlano, Gesù  tace. Il “dito di Dio”, la potenza di Dio è all’opera nel mettere queste coscienze di fronte a se stesse: “Valutatevi, prima di interrogarmi sulla condanna a morte di questa peccatrice. Poiché parlate di peccato con tanta facilità, guardate dentro di voi, per vedere se non ci sia anche in voi del peccato”. L’invito è chiaro e non gli si può sfuggire; si può solo fuggire, infatti si fa il vuoto intorno a Gesù.

È arrivato alle loro coscienze. Uomini che non si ponevano alcun problema, che erano dichiaratamente giusti, dinanzi a Dio sono obbligati a guardarsi dentro – cosa che forse non facevano da anni -, e rimangono confusi; poiché in quel momento, e forse anche dopo, non sono disposti a riconoscere: “Hai ragione, Maestro, i primi peccatori siamo noi”, decidono di andarsene. Ma la coscienza è stata toccata.

Non sappiamo quale esito abbia avuto questo tentativo. Vediamo, invece, Gesù che continua la sua opera. Egli vuole raggiungere ancora un’altra coscienza per rivolgerla a sé: “Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?”. Egli non conclude affermando: “Non ti condanno neanch’io” – in questo modo la coscienza non sarebbe toccata -, ma aggiunge: “…va’ e d’ora in poi non peccare più”.

Ecco il contenuto centrale di questa pagina, in cui vediamo il Signore alla conquista di quel luogo unico dell’uomo, dove si può scegliere davvero Dio. Gesù perdona, come aveva profetizzato Ezechiele: “Io sono il Dio vivente, non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva”, la sua esortazione tuttavia ci fa ben intendere che la coscienza di questa donna, come  ogni coscienza , Egli la vuole veramente ricostruita.

Noi alla questione della coscienza siamo stati educati nel senso di distinguere tra la buona e la cattiva coscienza, e questi termini significavano: riportati nel profondo di te, dove ti metti davanti a Gesù Cristo.

Questo tipo di educazione si è però indebolito notevolmente. Mi domando: quanti nostri adolescenti capirebbero questo discorso? Il nostro ritrovare noi stessi ha perso oggi molto significato Siamo continuamente legati da una rete di rapporti elementari, estroversi, di tutti i generi: spesso non abbiamo neanche più la percezione della nostra profondità. E’ sperabile che noi cristiani continuiamo ad averla, ma tutti corriamo il rischio di essere dei superficiali. Il Signore, invece, vuole arrivare dove c’è questa consapevolezza, dove si giudica tra il bene e il male, dove, di conseguenza, si progetta o si riprogetta la propria vita. L’assunzione di responsabilità personale è molto importante ed è anche faticosa. Non basta essere adulti per sapere  raggiungere la propria coscienza profonda e gestirla in maniera proporzionata.

La pagina di Paolo è uno splendido esempio, sotto questo profilo. Se c’era stato un uomo convinto di avere la coscienza ben definita, e irremovibilmente, questo era proprio il fariseo Saulo, uomo della legge, e – lo confessa ripetutamente – persecutore della Chiesa. Egli, dunque, che si riteneva il perfetto ebreo e lo era, viene folgorato da un tocco di Dio, che arriva nel profondissimo della coscienza, fin dove neppure lui sapeva che si potesse essere feriti. A quel punto egli capisce tutto in modo nuovissimo, è illuminato interiormente,  s’immerge in un giudizio inesorabile: “Se Tu sei così, devo cambiare tutto”, e riprogetta la sua esistenza intera.

E’una storia molto tumultuosa ed estremamente seria. Paolo giunge a reputare una perdita ciò che prima riteneva un guadagno. Non sono parole di poco peso. Il guadagno, a cui si riferisce, non è economico, ovviamente, ma molto più profondo: è il patrimonio ebraico di ogni fariseo, che ora diventa per lui una perdita, anzi è considerato come spazzatura. “Ma perché fai così, che cos’hai visto?”. “Ho incontrato Gesù Cristo, e l’ho conosciuto in modo tale che voglio conquistarlo”. “E che cosa vedi in Gesù Cristo di così grande da farti buttare via tutto, per guadagnare Lui?”. “Vedo in Lui il senso di tutto, la mia speranza nuova. Vedo in Cristo Signore risorto la soluzione dei miei problemi di fondo, quella che l’ebraismo non mi aveva ancora data: la risposta alla mia sofferenza, alla mia morte, al mio desiderio che pretendeva di più; adesso possiedo questo ‘di più’, perché tengo per mano Dio fatto uomo e risorto. Per questo ritengo che tutto ciò che avevo prima sia una perdita. La mia coscienza ora grida: – Gesù! -”.

Poi, con grande umiltà, – e questo ci conforta – aggiunge: “Non è che abbia già conquistato il premio, non ho finito la mia strada verso il Signore, ma che cosa faccio? Mi butto alle spalle il passato, non m’importa più niente quello che sono stato, mi lancio nel mio futuro cristiano, corro verso la meta, come l’atleta che corre con tutte le sue forze, per arrivare al premio che Dio mi dà in Cristo. Io voglio conquistare Colui che mi ha già conquistato”.

Com’è affascinante tutto ciò! E’ l’esperienza di uno che sa di essere amato da un irresistibile conquistatore e cerca di conquistarlo a sua volta, pur riconoscendo che sarà sempre l’Altro ad amare di più. Che cristianesimo di movimento, di storia vissuta, è questo! Un cristianesimo così spiega tutti i gesti stupendi, che anche oggi molti cristiani sanno fare: cambiamento di vita, lavoro per gli altri, la missione, tutto è possibile. E’ l’eroismo cristiano che dà gloria alla Chiesa.

Occorre dunque rifare oggi questa riflessione: “Che cosa, Signore, devo lasciare per te? Ciò che rispetto a te mi trattiene, perché io lo ritengo ancora guadagno e dovrei considerare spazzatura: ambizione, egoismo, orgoglio, sensualità…Non posso continuare a seguire il mio piacere, di fronte a te voglio mettermi e lasciare che la mia coscienza si faccia più trasparente all’immagine tua.”.

E’ questo il vero cammino. E se per caso ci trovassimo invece oggi nella condizione infelice di sfuggire alla nostra coscienza, inflessibile testimone interiore; se stessimo così uccidendo la nostra vera gioia, allora è il momento di cambiare. Lasciamo che questa coscienza parli, gridi in noi, crei sani rimorsi, programmi cose nuove; lasciamo che finalmente sia lei a inventarci la vita. Noi siamo la nostra coscienza. Che bellezza sorge in un uomo, in una donna, quando essi decidono di abbandonarsi alla propria coscienza buona per essere conquistati da Gesù Cristo!

Nella Quaresima imploreremo dunque Dio perché ci salvi dalla sventura di una coscienza ammutolita e prigioniera. Ampia preghiera da estendere al mondo intero. Cominciando dal santo Popolo di Dio. Quale dono all’umanità, questo Popolo che fa nascere se stesso dalla propria coscienza santa.

A Maria affidiamo tale intenzione splendida, che è anche quella dell’Eucaristia che stiamo celebrando insieme.