VI DOMENICA DI PASQUA
At 15, 1-2. 22-29; Sal 66; Ap 21, 10-14. 22-23; Gv 14, 23-29
Essere dimora di Dio
Gesù, in questo brano di Giovanni, che è il più profondo nel descrivere il rapporto reale tra Dio e l’uomo, ci rivela il progetto straordinario suo e del Padre verso il credente: “…verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”.
Tu, cristiano, tu, cristiana, se ami il Signore, ne diventi la dimora. Una dimora, nella quale Dio non sta nascosto e immobile, ma, all’opposto, nel suo Spirito, ti insegna ogni cosa e ti ricorda ciò che Gesù ha detto di fare. Dimora di Dio, che è il tuo maestro momento per momento: questo sei tu. Qui occorre fermarsi e domandarsi con serietà: “E’ così che vivi il tuo cristianesimo?”.
Se accettiamo infatti questa nostra straordinaria condizione, cioè accogliamo Dio che, senza nessuna violenza, ma con amore, invade però il nostro intimo, e ci ammaestra nel cuore, la vita comincia poi di qui, di qui il nostro essere Chiesa.
Nessuna appartenenza ad altri mondi è paragonabile a tale intima, continua relazione tra Lui e noi, noi e Lui. Allora, poiché questa è ben vera, occorre esaminare il nostro modo di vivere, dal momento che noi di fatto apparteniamo a molti mondi: il mondo della economia, del lavoro, della politica, della cultura, dell’arte…Non è male appartenere ad essi, è anzi inevitabile. Ma se tu, cristiano, appartieni talmente a uno di questi mondi, che soprattutto esso ti fa vivere, pensare, agire, gioire, soffrire, come eviterai di essere distratto da Dio che dimora in te? Come riuscirai ancora ad ascoltare il mormorio dello Spirito, che ti istruisce nel cuore? La risposta onesta, purtroppo è: “Non lo eviterò, e non ci riuscirò”.
Se viviamo troppo intensamente un mondo o un intreccio di mondi, saremo dei cristiani sempre distratti da Dio. Tale è la malattia del cristianesimo. D’altronde il demonio è un ottimo costruttore della ‘città della distrazione da Dio’, non solo per quanto riguarda piccole distrazioni, ma soprattutto mediante azioni e impegni, a cui conferiamo idolatrica serietà. Pensiamo alla vita dell’uomo politico, d’affari, dell’atleta, tutta soltanto spesa per successo e vittoria.Questa non è distrazione per loro, è il massimo della concentrazione delle loro possibilità. Non stanno tendendo ai loro obiettivi con tutto il cuore, la mente, l’anima, le forze? Sì. Solo che la mente, il cuore, l’anima e le forze, li dobbiamo totalmente dedicare a Dio amato.
La domanda, che ci siamo posti all’inizio, non è, quindi, di poco conto: “Mio Dio, tu hai deciso che io sia tua dimora, una realtà persino impensabile nella sua grandezza, ma, nel tuo amore, resa vera. Tu sei il mio maestro interiore, ma ti do io l’attenzione sufficiente? Quell’attenzione che si chiama la mia preghiera, l’ascolto della tua voce nella mia coscienza, la nostra amicizia, e che mi fa vivere nel modo che piace a te prima che a tutti gli altri”.
Di fronte a un Vangelo così penetrante e chiaro, prima di tutto chiediamo perdono a Dio di essere un popolo molto distratto e convertiamoci, donandogli più attenzione.
L’insegnamento, però, non è tutto qui, perché, se lo fosse, l’essere Chiesa resterebbe soprattutto lo stare nascosti con Dio nell’interiorità, mentre non è solo questo. Quando Dio viene a dimorare in te, tu sei – è il paragone di Gesù – come una lucerna, che non si mette sotto il moggio, ma sul lucerniere, perché faccia luce. Da te escono raggi di verità, di bontà, di tutte le cose belle e buone, che Lui stesso come uomo ha vissuto, e che tu devi irradiare. Questa è la Chiesa abitata profondamente da Dio e perciò capace di mandare attorno tali raggi, di cui tutti hanno bisogno disperato. Pertanto, nella misura in cui siamo Chiesa abitata da Dio, siamo Chiesa luminosa, il vero popolo di Dio. Anzi, una piccola parte di questo popolo, chiamata dal Signore ad altissima responsabilità, ha addirittura il compito di tenere ben vivo il dimorare di Dio, la luce, la bontà, il come si deve vivere, di esercitare cioè quello che chiamiamo il magistero dottrinale, morale, spirituale della Chiesa.
Nel brano degli Atti è descritto un primo momento esemplare di tale magistero: confusione, discussioni, incertezze sul da farsi nella comunità. Allora quella parte di Chiesa piccola, ma estremamente responsabile, prega, si raccoglie, e osa dire: “È parso allo Spirito Santo e a noi che occorra agire così”. Fu il primo piccolo Concilio, il Vaticano II è stato il ventunesimo o, con quello, il ventiduesimo. Ecco il continuo dimorare di Dio dentro il cuore e nell’intera Chiesa, perché luce e bontà rimangano nel mondo.
Alle ricorrenti domande, che l’umanità continua a porre a se stessa: “Che cosa posso sapere? Che cosa posso sperare? Che cosa devo fare? Chi sono?”, la Chiesa, illuminata dallo Spirito, continua a rispondere: “La verità è questa, la tua speranza sconfina oltre, guarda l’Eterno, il tuo dovere si chiama: amore, purezza di cuore, rettitudine di spirito e tutte le altre virtù”.
Questo è essere Chiesa, e comincia dal cuore abitato da Dio. Se la Chiesa continuasse a esistere, ma, per assurdo, la dimora di Dio si spegnesse nel suo cuore, essa rimarrebbe un guscio vuoto. Tutte le volte che accade qua e là qualcosa di simile, sempre finisce l’essere autenticamente cristiano.
Dio ci ha garantito dunque che, col suo Spirito, non ci abbandonerà, ma occorre vigilare. Possiamo ricordare meglio che siamo – e non solo qui adesso – dimora di Dio? Non a parole, ma in modo tale che chi ci sfiora appena se ne accorga bene, perché da noi irradia qualche cosa di semplice, di comprensibile: da un gesto di bontà a una parola di verità, a un modo di vivere, di scegliere, di comportarci. Questi raggi partono da ciascuno di noi e Dio diventa maestro di molti grazie a noi.
Siamo qui per dirgli: “Vogliamo che sia così!”. Allora, senza nessuna difficoltà, s’innalza all’orizzonte la stupenda città finale: la Chiesa della gloria, dove non ci saranno più contrasti, conflitti, peccato, morte, lacrime, tutto ciò che qui ci travaglia; dove stiamo andando, dove – bellissima espressione! – non ci saranno più né sole, né luce “perché la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello”.
Anticipiamo questa visione e, offrendo attraverso Maria questa intenzione, diciamo solennemente al Signore che stiamo celebrando: “Signore, fin da ora la gloria del Padre è la nostra luce, fin da ora, Gesù, Tu sei la lampada che illumina noi e, attraverso di noi, illumini molti”.
Don Pollano