MARIA SS. MADRE DI DIO

Nm 6,22-27; Sal 66; Gal 4,4-7; Lc 2,16-21

Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore

Se avessimo dovuto descrivere noi questa scena presentata da Luca, colma di entusiasmo e di lode, è probabile che avremmo scelto, riguardo a Maria, le parole che l’evangelista utilizza in un’altra occasione: “Tutti quelli che udirono si stupirono delle cose che i pastori dicevano e Maria da parte sua disse:- L’anima mia magnifica il Signore, il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore”. Infatti avremmo percepito molto più armonico, in una pagina di gioia, un grido di gioia. Troviamo, invece, nel versetto 19 del capitolo secondo di Luca, ora letto, che Maria fa tutto l’opposto: da parte sua, tace, tace meditando raccolta. È proprio qui che ci attende il Vangelo oggi, per capire con Lei perché tace, e tacere un poco con Lei. Non è strano che si taccia quando si vuole riflettere e comprendere meglio, lo facciamo sempre tutti. E già questo è interessante.

Mentre i pastori, come molti, come noi stessi qualche volta, riducono ciò che hanno visto al loro sentimento, alla loro emozione, Maria sente che di fronte a quel bambino, che giace nella mangiatoia, non deve limitarsi a una gioia umana, deve, invece, elevarsi Lei per capirlo. Perciò sta tacendo, per non perdere la grandezza dell’evento appena cominciato e del momento presente. Troviamo, dunque, Maria in un atteggiamento interiore di  elevazione.

Non si tratta solo di comprensione, come quando si dice: “Voglio capire meglio”, ma sapendo che con la nostra intelligenza  ci riusciremo. E’ di più. È un’elevazione a qualcosa che ci supera, però in modo tale che ci avvince, ci attira, come può accaderci qualche volta quando preghiamo. Non capiamo, ma ci sentiamo portati a star lì, perché lì c’è Dio.

Il bisogno di elevarsi, per trovare cose più grandi, non è soltanto di Maria e non interessa solo l’ambito religioso. Tutta la storia umana è piena di tentativi di elevarsi, come testimoniano i grandi sistemi ideali delle filosofie, le mitologie o anche la fantascienza: mille modi di superare la nostra misura, però tutti quanti umani, cioè fatti, in sostanza, d’immaginario.

Qui, invece, non c’è nulla d’immaginario, qui c’è un bambino, in carne ed ossa, ma Maria è obbligata ad elevarsi proprio guardandolo, perché ricorda benissimo com’è nato da Lei. Lo ricorda come fosse accaduto il giorno prima: “Lo Spirito Santo scenderà su di te, l’ombra dell’Altissimo ti coprirà”. Di conseguenza, guardando quel piccolo bambino, è costretta ad andare alle origini che, per la sua cultura ebraica e per la sua pietà personale, sono davvero altissime, si perdono in alto. L’essere Madre del Figlio dell’Altissimo la sta sollevando, la sta incantando, potremmo dire. Perciò, da parte sua, tace e contempla.

Questo atteggiamento ci interessa molto, perché, visto che quel bambino è Gesù, il Figlio di Dio, lo stesso atteggiamento è richiesto anche a noi; altrimenti perché saremmo credenti?

Dunque, tu, Maria, guardi tuo Figlio e vai molto in alto, più in alto che puoi, nel mistero di Jahvé, il trascendente Dio ebraico. Vai là per capire questo bambino e congiungi queste due realtà che sembrerebbero del tutto lontane, ma adesso non lo sono più: la suprema trascendenza di Dio e l’immanenza di questo piccolo bambino. Allora, oltre alla gratitudine, allo stupore, alla meraviglia, non può non nascerti in cuore anche un immenso: “Ma perché? Perché sei nato da me? E perché sei nato?”.

E il piccolo Gesù è la risposta incarnata.

“Prima di tutto volevo entrare nella storia del genere umano e allora sono nato da donna”. Nato da donna è l’espressione che usa l’apostolo Paolo nella Lettera ai Galati. Essa, però, vuol anche dire: consegnato all’affetto, anzi all’amore profondo di una donna. E potremmo aggiungere, senza timore di sbagliare, al tipo di amore più profondo, dedicatorio, fedele che si trovi sulla terra. Ci sono tanti tipi di amore buono, lodevole, desiderabile, ma l’amore di una madre, che sia coerente e fedele, è imbattibile, perché sfida il tempo, i cambiamenti, le situazioni, sfida le ingratitudini, sfida tutto, e rimane.

Allora è già importante che Tu, Gesù, Figlio di Dio, per venire tra noi, non abbia solo cercato il grembo di tua Madre, ma anche il cuore di una creatura che, come madre, è quella che ti poteva accogliere di più. Hai cercato la via dell’affetto e della tenerezza.

Delle innumerevoli icone di Maria che esistono, alcune si fanno un po’ tradizionalmente risalire proprio a Luca, che si dice fosse anche pittore. Di lì sono nate tre figure tipiche dell’icona, che poi sono diventate modelli per tutti i ritratti della Madonna. La prima icona in assoluto comparsa nella tradizione cattolica è quella che probabilmente avrete visto qualche volta: la Madonna tutta china sul bimbo, che a sua volta le appoggia il volto sulla guancia, la cosiddetta Madonna della Tenerezza.

Dio cerca tenerezza e la cerca dove sa di trovarla: in un perfetto cuore materno. Sarebbe già molto, ma non è tutto, perché qui siamo davanti a Dio e, quando si parla di Dio, non basta fare né della biologia né della psicologia, bisogna fare della teologia: trovare le ragioni profonde di Dio in Dio.

Dio è amore, agape e la caratteristica dell’amore è il donarsi gratuitamente, il consegnarsi perdutamente all’altro. Allora ecco che Dio, attraverso Maria, si consegna a tutti noi: “Mi sono cercato una mamma per rassicurarvi. Potevo comparire tra voi come un San Giorgio con la spada, potevo fare quello che volevo, Io sono il Creatore. Ho scelto la via che convincesse di più, per farvi capire che era il mio infinito – che non è il freddo assoluto dei filosofi -, il mio vivo infinito d’amore che veniva a cercarvi”.

Così Maria, a poco a poco, crescendo nella fede, capisce quel nome: Gesù.

Era un nome piuttosto frequente: Jehoshu’a, ‘Dio salva’. Nella storia ebraica c’erano stati dei Jehoshu’a-Gesù, ma il Dio che salva, in prima persona, non era ancora venuto, ed ora eccolo.

Maria vede, dunque, quel Bambino com’è: piccolo bambino che, appena si muove, fa sì che Lei si chini su di lui, perché, se trascurasse di occuparsene per qualche ora, lui non potrebbe vivere. E’ un piccolo bambino come tutti. Ma, nello stesso tempo, come diventa grande! E’ l’Altissimo, che sceglie l’amore per venire, diventa inerme nelle nostre mani, dipende in tutto da noi, perché se no muore di fame; dunque ci rassicura, cerca il nostro cuore per avere un tepore di vita, vuol essere amato, ma è Lui l’Amore molto più grande che si dona.

E si dona a tutti. Questa maternità diventa arbitra della storia umana, perché da quel momento in avanti, quando diciamo: “Mamma, madre”, non possiamo più soltanto pensare alla nostra, seppure ottima, amatissima mamma, troppo poco! Dio ha avuto una mamma e noi a Lei ci rivolgiamo, anche perché, essendo madre di un Dio, che a sua volta è Creatore di tutto, è diventata la Madre del creato, la Madre della Chiesa.

Tutto questo non è affatto ridurre la teologia, che rimane molto alta, a dei parametri umani buoni, semplici, emotivi.

Dio è padrone del cuore umano e di tutte le sue ricchezze. Di conseguenza noi guardiamo a Lui, perché è Dio; guardiamo a Cristo, perché Cristo è Dio, Figlio di Dio, ma guardiamo anche a Lei, perché a Dio è piaciuto metterla così, tra noi e Lui, misteriosa, umilissima mediazione. Madre della nostra grazia: tutto ciò che Dio ci dona passa attraverso di Lei, mediatrice potente, silenziosa. Madre della nostra vita: pensate a tutte le cose grandi che le chiediamo, che andiamo a cercare a Lourdes, a Fatima, o qui, o dovunque! E’ una dispensatrice straordinaria, perché il suo cuore è materno. Chi ha un cuore materno non ha misura.

Come siamo saggi quando le diamo un posto importante nella nostra vita! Qualcuno qualche volta dice: “Ma io preferisco Gesù Cristo”. E’ un’ ingenuità, perché non è questione di preferenze, c’è ancora molto di psicologico in questo modo di esprimersi. Qui è questione di verità: è l’ordine di Dio.

Vi rivolgo allora una domanda molto concreta: l’umile ma sincera “Ave Maria piena di grazia…” che posto ha nella vostra vita?  Non c’è nulla di disdicevole nel dire: “Ave Maria piena di grazia, il Signore è con te…”, nulla di popolare, nel senso riduttivo del termine. I contemplatori del Verbo non sono cristiani se fanno solo quello: bisogna prendere le cose come Dio ce le ha date, Egli ci conosce molto bene.

C’è davvero da augurarsi che quest’anno nuovo, che vuol dire un tempo nuovo, possa essere molto vissuto in un rapporto rinnovato e rafforzato con la Madre di Dio.

La Chiesa ha patito per definire Maria Madre di Dio. I primi secoli sono stati tormentati dal punto di vista teologico, perché questo attributo pareva ad alcuni eccessivo. Certo, se si pensa al Dio eterno e increato, non si pone una madre. Ma, quando Dio si fa uomo e rimane Dio, allora ecco scaturire dal Concilio di Calcedonia il termine, tanto caro ai nostri fratelli greco-ortodossi: Theotokos, la Madre di Dio. Li incanta questa espressione, di cui sentono tutta la grandezza. Non è un caso che l’icona, a differenza delle Madonne occidentali, abbia spesso l’aspetto trascendente che al nostro senso estetico può dire poco, mentre dice molto se lo si interpreta con intelligenza di arte e di fede. La Theotokos, la grandissima Madre di Dio!

Questo è il significato del nostro essere qui oggi: “Ti consegniamo non solo la nostra vita, ma il tempo del mondo. Tu sai, Tu che hai detto a Gesù quella volta: “Non hanno più vino”. Quanti significati ha questa frase! Vino rappresenta tutto ciò che serve all’uomo. Non hanno più chissà quante cose, ma, per tante che siano, ecco l’occhio e il cuore di Maria: “Non hanno più vino, Gesù! Che cosa fanno allora?”. E Gesù, come quella volta, agisce in modo che Lei possa dire: “Fate quello che vi dirà”, e tutto si risolve.

Ci riconsegniamo così, molto convinti, a Maria oggi. Non consideriamo certo questo gesto come un piccolo termine di devozione, ma le promettiamo che faremo quello che Gesù ci dirà, però col suo aiuto, perché Lei sa che siamo fragili e poveri: non è la Madre della Misericordia? Non è il Rifugio dei peccatori? Non è la Porta del Cielo?

Tutti i problemi, piccoli o grandi, personali, dei popoli, dell’ecumenismo… sono tutti nelle mani di Maria. Questo ci dà una fiducia sconfinata, però bisogna anche implorare: “Prendi, per favore, in mano Tu le sorti dell’umanità, perché, lasciata a se stessa, vedi quanto male sa fare. Prendi nelle mani Tu questo popolo in cammino”. Ditelo, e non ditelo solo oggi. Vi assicuro che potremo vedere risultati straordinari di bene e di grazia, per tutti.