Hai moltiplicato la gioia

Is 8,23b – 9,3; Sal 26; 1 Cor 1,10-13. 17; Mt 4,12-23

La scena evangelica, piena di crescente entusiasmo per il Si­gnore, mostra com’è cominciata quella che potremmo chiamare la sua rapida, anche tragica, ma soprattutto amorosissima e glo­riosa «carriera» di Salvatore: «Gesù percorreva tutta la Galilea, … cu­rando ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo».

Proviamo a immaginare questo personaggio che emerge dal nulla -chi sapeva chi fosse? – e che, all’improvviso, si mette con grande benevolenza a compiere queste azioni, a mostrare per tut­ti i sofferenti, per tutti i malati, una pietà sconfinata, accompagna­ta però subito dalla potenza di guarire: «Alzati! Sei guarito, cam­mina!». Che reazione deve avere suscitato nella gente, che fama improvvisa e meravigliosa: «È comparso un uomo che non solo sa guarirci, ma che vuole guarirci. E non lo fa perché noi poi gli andiamo dietro ad applaudirlo: abbiamo capito che vuole semplice­mente guarirci e che – non sappiamo perché – ci vuole bene»!

Gesù ha cominciato così e porta avanti così la sua opera: è il Gesù che cammina con noi anche oggi, perciò è un carissimo Ge­sù, con il quale è bene continuare ad incontrarsi per continuare a capirlo. Egli infatti guariva, e allora si comprendeva subito che era un uomo «vantaggioso», benefico, visto che non voleva nes­suna ricompensa. Nello stesso tempo, però, predicava e insegna­va. Non ci voleva molta intelligenza per collegare le due cose: se quest’uomo è così buono che, senza che glielo chiediamo, ci gua­risce, è evidente che ci vuole contenti; e se quest’uomo che ci vuo­le contenti ci dà anche degli insegnamenti, è chiaro che la sua in­tenzione è una sola: ci vuole contenti anche per le cose che ci dice, ce le dice proprio perché lo siamo sempre di più.

Così la notizia ha cominciato a diventare «la bellissima noti­zia», che andava molto oltre la salute del corpo. È la stessa, sem­plicissima logica che noi dobbiamo avere guardando Gesù: «Ascoltiamo la tua parola, Signore, ed è così chiaro che viene da un cuore che ci vuole bene che, qualunque cosa Tu ci dica, che ci piaccia o no, siamo certi che è per la nostra gioia». Avessimo già una fede così semplice, così giusta!

«Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia»: si realizza l’an­tica profezia di Isaia riguardo all’ opera di Dio. «Proprio questo sono venuto a fare: -dice Gesù -a moltiplicare la vostra gioia, miei poveri fratelli e sorelle, che ne avete così poca, sono venuto ad aumentare la vostra letizia». Gesù, capito così, si accetta a cuo­re aperto, altrimenti non ci interessa.

Allora il discorso continua, perché appunto Egli guariva e pre­dicava. Abbiamo il diritto di domandargli: «Signore, di gente che ci promette gioie, piccole e grandi, soddisfazioni, felicità … , ne ab­biamo fin che ne vogliamo attorno a noi, basta uno spot pubblici­tario. E Tu? Che cosa intendi quando affermi che vuoi aumentare la nostra letizia e moltiplicare la nostra gioia? Abbiamo capito che non si tratta solo di tornare ad essere sani, se eravamo malati. Cer­to, già questo è motivo di molta gioia, ma è chiaro che Tu vuoi di più».

L’altra profezia è molto illuminante: «Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in terra tene­brosa una luce rifulse». Gesù annuncia: «Fratelli e sorelle, sono ve­nuto perché voi siete un povero popolo che dimora in terra e om­bra di morte, dal momento che la vostra esperienza – la lunga vi­cenda umana – vi ha impresso nella mente alcune convinzioni che io voglio infrangere; prima di tutto il credere che si viva e poi si muoia, e basta». E c’è in più la rassegnazione perché, anche men­tre si vive, muoiono già delle cose: le gioie che tu potevi avere, l’affetto, l’amore, la famiglia, il lavoro che ti davano della pace, possono morire prima di te e farti rimanere nella tristezza. Sicché la vita, com’è stato detto, è diventata un’ «inquietudine di vita».

«Allora», – continua Gesù – «pensi che tutto questo non m’im­pietosisca? Ti vedo desideroso di felicità, e hai ragione ad esserlo, tu ti affatichi così tanto nel cercarla: percorri una strada, poi un’al­tra; poi compi degli sbagli, arranchi, e spesso sei triste. lo sono ve­nuto perché la tua gioia di essere vivo aumenti».

Di questo abbiamo tutti bisogno, e purtroppo non è il discorso che ci facciamo tutti i giorni. Quello che ci comunichiamo quoti­dianamente è l’altro versante, sono spesso le nostre tristezze e le nostre fatiche: non abbiamo il coraggio di andare oltre.

Gesù dunque ha cominciato così, mostrandosi buono e «van­taggioso», non soltanto perché guariva i malati, ma perché veniva, a guarirci dalla malattia di vivere come viviamo: che l’esistenza sia diventata l’inquietudine di esistere, per quanto sia ormai un fatto ordinario, non è una condizione sana. Egli ce lo dice: «Io vo­glio dare alla vostra vita dei significati in più».

Questa intenzione di Gesù ci coinvolge particolarmente, per­ché anche noi vogliamo dare alla vita dei significati, ed è bellissi­mo che lo facciamo, del tutto dignitoso. Per esempio, ad una crea­tura che è ignorante, noi diamo istruzione, scienza, la educhiamo: da una persona analfabeta ad una persona che sa molto, quanto si­gnificato in più! Noi viviamo in un mondo che tende, purtroppo, per le sue passioni, a molto disordine, a confusione, a tristezze, ed ecco allora lo sforzo umano di dare un significato più elevato. Pensiamo anche ai tentativi di mettere insieme la legalità della vi­ta, il diritto, la sicurezza, l’equilibrio. In ogni campo si passa dal­l’improvvisazione alla competenza più fine: noi tendiamo a dare tutto il significato che possiamo alle cose, non possiamo vivere trascurandoci, «vivacchiare» come si dice; ma con tutto questo ­che ci crea già delle severe responsabilità – non riusciamo ad arri­vare ai significati finali. Sogniamo una società che sia piena di si­gnificati positivi, che sappia vivere, ma, quand’anche riuscissimo

a realizzare questi obiettivi, ci scontreremmo contro le inesorabi­li barriere del vivere quaggiù.

Il Signore approva che noi diamo senso alla vita, che passiamo dall’ignoranza alla scienza, dall’incompetenza alla competenza, dal disordine alla legalità. Gli piace tutto questo, ma aggiunge: «lo sono venuto ad aumentare la vostra gioia, vi do di più, perché posso darvelo: io vengo da altrove. Accettate la vita della grazia? Accettate che la vostra speranza se ne vada tranquilla oltre la mor­te senza né disperazione né paura, anzi con una prospettiva di gioia più vera e per sempre? Accettate che l’amore, la benevolen­za reciproca possa diventare uno stato di esistenza: sapete che è possibile?».

Il discorso diventa molto concreto. Considerate, per esempio, una famiglia qualsiasi che, da quando esiste o poco meno, si tor­menti per i rapporti difficili, fragili: quanto ci si fa soffrire nel pic­colo e nel grande! Vi piacerebbe vivere come dice Paolo: «unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra di voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e d’intenti»? Sareste contenti di vivere così, voi, mariti e mogli che non andate d’accordo, genitori e figli che non v’incontrate più e che spesso vi parlate solo per litigare? «Sì, ma è un sogno», sarebbe la risposta più probabile.

Gesù invece è venuto a dirci che non è un sogno, che, se accet­tiamo il suo Spirito di carità, possiamo vivere amandoci: ecco do­ve si aumenta la letizia, dove si moltiplica la gioia. A volte delle persone vengono a dire al sacerdote: «Speriamo che duri, sono tre mesi che non litighiamo: è un mezzo miracolo». Ma tre mesi sono pochi, perché il Signore è capace di darvi pace fin che vivete, se volete. Portate tutti in voi affanni, fastidi, speranze e paure, tanta fatica del cuore. Chi può affermare: «Grazie, Signore, mi basta la gioia che ho, sono a posto»?

Accogliete allora l’invito di Gesù: scegliete il momento diffici­le della vita e mettetelo sull’altare. Ditegli: «Anche noi siamo un poco nell’ ombra della morte, abbiamo i nostri pensieri neri, i no­stri momenti tenebrosi. Ci rivolgiamo a Te, Signore, perché sei quello che guarisce, che solleva, che ci porta oltre».

Si spiega allora perché l’entusiasmo della situazione eccezio­nale descritta da Matteo affascinò molti. Gesù passa, dice a due pescatori: «Seguitemi… », ed essi lo seguono subito. È stato un en­tusiasmo straordinario, perché hanno capito che Lui li conduceva oltre, infatti essere pescatori di uomini, attrarre a Dio altri è l’im­presa più bella del mondo. È il «lavoro» del prete: incontri una persona che è ferita dalla vita, che non sa più che cosa fare, e puoi dirle: «Guarda che la tua gioia può risorgere ed essere moltipli­cata; c’è Chi sa farlo ed io ho il bene di comunicartelo». È un ma­gnifico compito, non solo dei preti, ma di ogni cristiano, perché tutti siamo battezzati nel sacerdozio di Gesù.

È molto bello tutto questo, è veramente tale che allarga il cuo­re alla gratitudine: «Come sei buono, Signore, come sei grande! Ci incarichi di passare in mezzo agli altri con parole di bontà, di fi­ducia, con apertura di cuore, con stile d’incoraggiamento, di ac­compagnamento, di profezia, portando qualcuno a Te».

Non dite che non sapete chi accompagnare: tutti, se volete, po­tete condurre qualcuno a Gesù Cristo. Se vi pare che non sia così, domandate al Signore qual è la persona che dovete accompagna­re ed Egli ve la metterà sulla strada, subito. Siamo profeti, popolo di profeti: chiediamolo. E, offrendo al Padre questo stesso Gesù nel momento culminante del suo dono -« . . .il mio corpo, il mio sangue dati per voi» -, esprimiamo la nostra infinita riconoscen­za, e anche un grande desiderio che il suo invito a seguirlo diven­ti una voce affascinante, irresistibile per molti, giovani o non gio­vani. «Seguitemi»: tanti si alzeranno e lo seguiranno.

Don Giuseppe Pollano