S.Teresa di Lisieux e S.Giuseppe Moscati
Due grandi santi del nostro tempo
Giuseppe Samà s.j.
S.Teresa di Lisieux (1873-1897)
“Oggi abbiamo grandissimo bisogno di santi, che dobbiamo implorare da Dio con assiduità“. La mente era incalzata da questa affermazione di Giovanni Paolo II, mentre il treno ci portava, nel giugno scorso, in pellegrinaggio a Lisieux: un piccolo gruppo di religiosi e di laici, devoti di S.Teresa del Bambino Gesù, e desiderosi di approfondire la sua via dell’ “infanzia spirituale”.
Lisieux è una cittadina della Normandia, che appare, vorremmo dire, non inquinata dal turbinio dei grossi centri commerciali: quasi un’oasi di silenzio e di compostezza psicologica, che sollecita lo spirito a scegliere soste di riflessione e di preghiera, la cui urgenza è tanto più avvertita quanto più ossessiva è – oggi – l’esaltazione dell’attivismo e dell’efficientismo.
Dalla Basilica di S.Teresa, che domina le verdi colline della Normandia, alla chiesa del Carmelo e alla cappella dell’Ermitage S.te Thérèse (dove eravamo ospitati e dove si sono svolti i nostri incontri di preghiera e di adorazione eucaristica), abbiamo avuto modo di assimilare esistenzialmente l’itinerario della santità di Teresa, nelle sue varie tappe di crescita interiore, e di rispondenza alla voce dello Spirito, nelle prove di un Getsemani nascosto, da lei vissuto con una generosità non comune.
Alla scuola di S.Teresa, definita da Pio XI “Parola di Dio”, abbiamo riscoperto il fascino dell’infanzia spirituale, radicata nelle paradossali parole di Gesù: “Se non diventerete come bambini, non entrerete nel Regno dei Cieli” (Mt 18,3). Diventare “piccoli” per essere “grandi” nel Regno dei Cieli: “Nulla di puerile e di affettato – come disse Paolo VI – in questa via insegnata da S.Teresa: è la via della confidenza e dell’abbandono in Dio, o – come scrive la stessa Teresa – “un dormire nelle braccia di Dio nostro Padre”, che veglia con amore paterno su di noi “che siamo chiamati e siamo veramente figli di Dio”" (1 Gv 3,1).
E’ una vita che, aliena da ogni forma di quietismo e di mediocrità, richiede una fede coraggiosa, un amore incondizionato, una collaborazione perseverante con Cristo Signore, al quale si devono “gettare i fiori dei piccoli sacrifici”. E’ una via sicura, che porta alla santità, perché il Signore ci vuole santi. E’ Lui l’artefice della nostra santità, anzi Lui stesso è la nostra santità, come si esprime Teresa nell’Atto di Offerta all’Amore misericordioso:”Desidero essere santa, ma sento la mia impotenza e vi domando, mio Dio, di essere voi stesso la mia santità“. Teresa domanda a Dio di essere Colui che ama in lei, perché è con l’amore di Dio stesso che siamo invitati ad amare.
L’amore di Teresa per Cristo così si manifesta nelle piccole cose del quotidiano: “Canterò anche quando dovrò cogliere i miei fiori tra le spine, e il mio canto sarà tanto più melodioso quanto più le spine saranno lunghe e pungenti” (Manoscritto B, n.258).
La Chiesa del Carmelo a Lisieux
L’amore di Dio, spinto fino all’eroismo, ispira alla nostra Santa – quindici mesi dopo l’Atto di Offerta – quello che Laurentin (nel suo libro “Iniziazione alla vera Teresa di Lisieux”) ha definito il suo “manifesto”, vibrante di accenti mistici, scritto sotto forma di lettera alla sorella Maria (Manoscritto B, nn.250-254). Nell’animo di Teresa tumultuano desideri e sogni irrealizzabili, contrastanti tra loro, sembra che il Carmelo non basti più al suo cuore tormentato da tante vocazioni: “Sento – così si esprime – la vocazione del sacerdote, dell’apostolo, del dottore, del martire… [...] Gesù mio, che cosa risponderai a tutte le mie follie?”.
Il Signore risponde a Teresa attraverso la lettura della I Lettera ai Corinzi (1 Cor 12-13), in cui l’apostolo Paolo, dopo aver paragonato la Chiesa ad un organismo vivente, composto di varie membra con funzioni diverse e complementari, aggiunge che esiste “una via migliore di tutte”, senza la quale anche i doni più perfetti sono nulla: l’amore (“agàpe”).
Teresa esulta: “Ho trovato finalmente la mia vocazione! La mia vocazione è l’amore! nel cuore della Chiesa, mia madre, io sarò l’amore. Così sarò tutto, e il mio sogno sarà realizzato”.
Così la “piccola Teresa”, varcando spiritualmente le anguste mura del Carmelo, si è messa “nel cuore della Chiesa”, facendone sue le necessità e le angosce. E’ quanto ha voluto confermare Pio XI, quando ha proclamato – nel 1927 – S.Teresa di Lisieux Patrona delle Missioni, sullo stesso piano del più grande missionario dei tempi moderni, San Francesco Saverio.
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S. Giuseppe Moscati (1880-1927)
Man mano che le riflessioni teresiane si susseguivano nella cappella dell’Ermitage, non poteva sfuggire alla nostra mente qualche punto di accostamento ideale tra la Santa carmelitana, Teresa di Gesù Bambino, e il nostro San Giuseppe Moscati, “il Medico Santo di Napoli”, illustre clinico, scienziato e docente universitario, morto nel 1927 all’età di 47 anni.
Dalla corrispondenza del nostro Santo sappiamo che egli fu molto devoto di S.Teresa di Lisieux, della quale teneva esposto, nella sua camera, un grande ritratto, che ora si conserva nelle “Sale Moscati” della chiesa del Gesù Nuovo. Il quadro porta la dicitura: “Beata Teresa del Bambino Gesù″, perché fu acquistato dopo la Beatificazione, avvenuta a Roma il 29 aprile 1923, per opera di Pio XI.
Il 18 luglio 1923 – dunque pochi mesi dopo la beatificazione di Teresa – Moscati accenna ad una tentazione di scoraggiamento, superata in seguito ad alcune parole di Teresa su questo fenomeno e riportate nella “Storia di un’Anima”: “Pochi giorni innanzi, leggevo nell’autobiografia della beata Teresa del Bambino Gesù una frase fatta per me: “Anche lo scoraggiamento, mio Dio, è peccato”. Sì, è un peccato di superbia, perché mi fa credere che possa aver accettato un’auto-opinione di aver fatto grandi cose! Quando invece si è stati sempre un servo inutile” (le citazioni delle parole di Moscati sono tratte dal libro di Alfredo Marranzini s.j.: Giuseppe Moscati, modello del laico cristiano di oggi, Roma 1989).
Alcune sue lettere, scritte da Edimburgo nel 1923, contengono riferimenti alla “Beata” carmelitana. Nella lettera del 24 luglio 1923 alla sorella Nina, Moscati la informa di avere visitato la casa dei gesuiti presso la Lauriston Place, e precisa: “Entrai e trovai esposta l’immagine della beata Teresa del Bambino Gesù“.
In un’altra lettera – sempre datata del luglio 1923 – così scrive alla sorella: “Ho promesso a Miss Nasmyth di inviarle il testo francese della beata Teresa. Anzi, Nina, tu potresti inviarglielo a mio nome”. Questo anche perché Moscati si sentiva obbligato per le tante premure di ospitalità che Miss Nasmyth aveva avuto nei suoi confronti.
Al ritorno da Edinburgo, il nostro Santo approfitta di una sosta a Parigi per scrivere ai familiari, con questo post-scriptum: “Qui ho trovato finora terminate le edizioni della “Vie de la bienheurese Thérèse etc.”.
Un’altra testimonianza di come la spiritualità di S.Teresa di Gesù Bambino abbia influito sull’animo di S.Giuseppe Moscati, l’abbiamo in una lettera che il Santo scrive il 7 marzo 1924. Moscati si recava a Lecce quasi ogni mese, e qui, avendo conosciuto la figlia del Notaio De Magistris, le aveva inculcato la devozione verso l’allora Beata Teresa. Avendo avuto notizia della precoce morte di questa ragazza, Moscati scrive al padre queste commoventi parole:
La basilica di S. Teresa a Lisieux
“Ho qui sul mio tavolino, tra i primi fiori di primavera, il ritratto di vostra figlia, e mi soffermo, mentre vi scrivo, a meditare sulla caducità delle umane cose!
Bellezza, ogni incanto della vita passa…
Resta solo eterno l’amore, causa di ogni opera buona, che sopravvive a noi, che è speranza e religione, perché l’amore è Dio. Anche l’amore terreno Satana cercò d’inquinare, ma Dio lo purificò attraverso la morte. Grandiosa morte che non è fine, ma è principio del sublime e del divino, al cui cospetto questi fiori e la bellezza son nulla!
Il vostro angelo, rapito nei suoi verdi anni, come la sua diletta amica, ritrovata negli ultimi giorni, la beata Teresa, assiste voi e la mamma sua dal cielo”.
Queste citazioni ci sollecitano a pensare che S.Giuseppe Moscati attingesse dalla devozione a S.Teresa di Lisieux forza e consolazione, per vivere la sua vita interiore impregnata di profonda unione con Dio e di partecipazione eucaristica. I suoi lunghi incontri mattutini con il Signore nella chiesa del Gesù Nuovo, o in quella di S.Chiara, si configuravano come un centro di gravitazione delle sue giornate massacranti di lavoro e di dedizione agli ammalati, nei quali egli serviva ed amava “la figura di Gesù Cristo”.
Era lo spirito di Gesù Eucaristico, di cui Moscati si nutriva ogni mattina, che lo spingeva a fare della sua professione “un sacerdozio dei corpi e delle anime”. Così egli si esprime in una lettera del 1926: “Beati noi medici, tanto spesso incapaci di allontanare una malattia, beati noi se ci ricordiamo che oltre ai corpi abbiamo di fronte delle anime immortali, divine, per le quali urge il precetto evangelico di amarle come noi stessi”
S.Giuseppe Moscati non ci ha lasciato documenti scritti, in base ai quali si potesse ricostruire la storia dei suoi rapporti intimi con il Signore. Però un suo biglietto, ritrovato dopo la morte, ci fa capire quanto egli fosse innamorato del Signore Gesù: quasi eco fedelissima dell’”amore fino alla follia” di S.Teresa di Lisieux:
“Mio Gesù Amore – leggiamo in questo biglietto del 5 giugno 1922 – il vostro amore mi rende sublime; il vostro amore mi santifica, mi volge non verso una sola creatura, ma a tutte le creature, all’infinita bellezza di tutti gli essere creati a vostra immagine e somiglianza”.
Ci sembra di ascoltare la voce ispirata di S.Teresa del Bambino Gesù, la “Santa dell’amore”, nel leggere questo pensiero di S.Giuseppe Moscati: “Esercitiamoci ogni giorno nella carità. Non dimentichiamo di fare ogni giorno, anzi ogni momento, offerta delle nostre azioni, compiendo tutto per amore”.
Dal nostro Santo emanava un tale ardore di carità evangelica da trasformarsi in una silenziosa germinazione di quelli che Paolo VI chiamò “i fioretti del Professore Moscati”. Spesso tra i malati c’era chi trovava una banconota di grosso taglio sotto il proprio cuscino, e non poche volte era lo stesso Moscati a provvedere alle spese delle medicine e a quanto occorreva per gli ammalati.
Per S.Giuseppe Moscati il Vangelo della carità, testimoniato nel quotidiano, è inscindibile dall’amore e dal servizio alla verità, come si legge in un biglietto da lui scritto il 17 ottobre 1922:
Il manoscritto di Moscati
“Ama la Verità, mostrati qual sei, e senza infingimenti e senza paure e senza riguardi. E se la verità ti costa la persecuzione, e tu accettala; e se il tormento, e tu sopportalo. E se per la verità dovessi sacrificare te stesso e la tua vita, e tu sii forte nel sacrificio”.
Questo scritto – di puro sapore evangelico – inquadrato nel contesto socioculturale in cui visse e operò S.Giuseppe Moscati, saturo di positivismo e di incredulità, ne delinea l’identità di uomo e di credente: sempre pronto a combattere la “buona battaglia della fede”, a camminare nella verità che è Cristo, il quale rende il cristiano libero e vittorioso sulla mentalità del mondo.
La ricerca e l’amore alla verità, attraverso cui si è plasmata la personalità umana e cristiana di Moscati, ha caratterizzato lo stile di vita personale e comunitaria della “piccola Teresa”, che durante la malattia ripeteva: “Io mi nutro solo della verità” (Novissima Verba).
Una delle ultime parole di Teresa – poche ore prima di morire, il 30 settembre 1897 – sono allo stesso tempo semplici e vere: “Mi pare di aver cercato sempre la verità sola. Sì, ho capito l’umiltà del cuore”. Quella “umiltà – rileva von Balthasar – che sta sul filo del rasoio tra l’abisso della verità e quello della menzogna; l’umiltà che non è una virtù, ma la convinzione di non avere virtù, perché tutto viene da Dio”.