La verità della Vita
di Mons. Giuseppe Pollano

Commento su Mc. 1,40-45

Sì, Gesù lo vuole, e il lebbroso è guarito.
Perché Gesù è venuto incontro alla nostra volontà di vivere. Aveva ragione Schopenhauer dicendo: “Ciò che volontà vuole è la vita, appunto perché questa non è che il manifestarsi di volontà rappresentata:è pleonasmo dire volontà di vivere, invece che dire semplicemente volontà”.
Gesù, che è verità e vita, è anche verità della vita, e perciò rivelazione della infinita volontà di vivere che egli per primo porta in sé: volontà di vivere e far vivere, volontà di far essere vivi. L’estremo atto di questa volontà vincente sarà “sconfiggere definitivamente la morte”. Mentre il diavolo, morto nelle sua vitalità senza Dio, gestisce vendicativamente la morte, Gesù elargisce magnificamente la vita.

Qui la nostra epoca ha da imparare e da profondamente amareggiarsi su se stessa; perché sarà ricordata anche come epoca di grande morte, o – come pure si dice – di “cultura di morte”. Le distanze tra la morte naturale e la morte inflitta dall’uomo all’uomo sembrano accorciarsi, in questa cultura spaventevole.

Il solenne “non commetterai omicidio” è violato con quel tipo di indifferenza morale che prelude alle massime crisi di civiltà: non soltanto nell’evidenza delle guerre combattute, nella complicità degli inventori e fabbricanti d’armi, nella delittuosità dei sistemi socio-politici di tante nazioni – che sarebbe già cumulo schiacciante – ma anche nelle morbida criminalità di aborto e infanticidio, di eutanasia e “morte dolce” che strisciano e rodono le radici stesse della vita.

“La vita, una volta concepita, dev’essere protetta con la massima cura; e l’aborto come l’infanticidio sono abominevoli delitti”, ha ribadito a chiare lettere il Vaticano II a tal proposito; se “per eutanasia s’intende un’azione o una omissione che di natura sua procura la morte, è necessario ribadire con tutta fermezza che niente e nessuno può autorizzare la morte di un innocente: si tratta di una violazione delle legge divina, di un’offesa alla dignità della persona, d’un crimine contro la vita, di un attenta contro l’umanità”, ha dichiarato la Congregazione per la fede. Per chi ha orecchi non sussistono dubbi.

La cultura di morte è l’ultima figlia della disperazione a cui la vota appare immediatamente “senza valore” se non è più in grado di conseguire alcuni fini, certe piccole mete.

Spenta la voce che chiamava all’assoluto, l’uomo diventa un pietosissimo povero e la sua prima povertà è la paura che ingigantisce di fronte al dolore, al naufragio-morte.

Proprio a questo uomo povero, scelto come fratello con appassionata fedeltà, è pronto Gesù a offrire vita: “Lo voglio”, dice.

Intuitiva se ci impersoniamo nel lebbroso, la pagina evangelica si fa sottile quando la lasciamo penetrare nelle vicende nostre, dove vivere e morire è alternativa distribuita nelle circostanze minime, suscita vento di tristezza o speranza, provoca gesti di disfattismo o di creazione, alimente giudizi costruttivi o distruttivi.

Non è facile sempre volere che gli altri vivano, ci siano, siano felici. Sì che il cordiale comportamento del Signore si fa anche qui lezione concreta; bisogna accettarla da umili e domandarci se e quante volte noi abbiamo voluto, con vivo schietto amore, che un altro diventasse vivamente felice.

Gesù vivo e Dio della vita, ti chiediamo perdono perché troppe volte ti rispondiamo di non sapere dov’è il nostro fratello, troppe volte abbandoniamo alla morte ciò che potremmo vivificare. Gesù, colmaci di te amore. AMEN.

Tratto da catechesi di Mons. Pollano, non rivista dall’autore

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